Recensione: Undisputed

Di Manuel Gregorin - 4 Settembre 2021 - 0:01
Undisputed
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2021
Nazione:
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73

La buona musica si sà non ha stagione (neanche i matti dicono..), ed in effetti una bella canzone è sempre fruibile in qualsiasi situazione, momento o periodo dell’anno. Resta comunque innegabile che certe sonorità vadano bene a braccetto con determinate stagioni: ad esempio la primavera/estate le ho sempre viste ben abbinate con la musica hair metal-glam e l’hard rock più melodico ed orecchiabile, come nel caso di questi Blood Red Saints.
La formazione inglese infatti ci propone un melodic hard rock/AOR sulla scia di FM, Journey, Def Leppard e Bad English che fa da giusta cornice musicale a giornate in spiaggia, uscite in barca, belle ragazze in bikini e chioschi estivi dove si consumano cocktail colorati come detersivi con mezzo chilo di ghiaccio pressato dentro.

Tornando a discorsi più tecnici, i Blood Red Saints, ad un primo approccio potrebbero sembrare una band di giovani leve fra le tante compagini nord europee dedite alla riscoperta di generi in voga qualche decennio fa.
Trattasi invece di musicisti navigati che dopo anni di militanza in formazioni minori della scena inglese, nel 2014, su iniziativa del cantante Pete Godfrey e del bassista Rob Naylor, si riuniscono traendo ispirazione per il proprio moniker da un racing team di speedway attivo a New York negli anni 20.
Undisputed” è il quarto album e segna il ritorno (dopo i due lavori precedenti con AOR Heaven) a casa Frontiers, label con la quale avevano esordito nel 2015.

“This Ain’t A Love Song” è la traccia di apertura: un pezzo ritmato con riff hard rock e ritornelli con coretti dove fa bella mostra di sé l’assolo di chitarra semplice ma efficace. Si prosegue con le ritmiche più ragionate di “Love Is Like A War” fortemente impregnata di atmosfere prettamente AOR, come anche la successiva “Heaven In The Headlights“, traccia con una marcata influenza Journey tanto che nel ritornello può ricordare vagamente la famosa hit del combo statunitense “Don’t Stop Believin‘”.
Tutto questo ovviamente senza affondare nella mera scopiazzatura: non per niente il pezzo in questione è uno dei più interessanti di quest’album.

Si tira un po’ il fiato con la ballad “Breathe Again” per passare poi a “Caught In The Wreckage” e “Karma”, due brani dove si resta comunque su territori melodici e riflessivi in cui risaltano le buone prove sia del vocalist Godfrey che del chitarrista Lee Revill. Il tutto è ben messo in evidenza dalla produzione cristallina e dalla pulizia dei suoni.
Come Alive” invece con il suo andamento più propulsivo ed i buoni refrain immediati, pare la trama musicale adatta per una serata da inguaribili nottambuli. “Alibi” procede sempre sulla linea di un certo hard rock con parti di chitarra energiche ma mai troppo aggressive, supportate da tastiere e ritornelli dal sapore pop.

Va detto che forse alla lunga tutta questa continua ricerca della melodia di facile assimilazione va a discapito di un certo mordente e. specie per la frangia di ascoltatori abituati a sonorità più ruvide, può dare l’impressione di un risultato finale un po’ melenso. Obiezioni che per gli estimatori incalliti di AOR invece non costituiscono certo un problema: in fin dei conti le caratteristiche del genere sono proprio queste e pretendere di trovare qualcosa di diverso sarebbe insensato come voler cercare improvvisazioni prog-fusion in un disco degli AC/DC.

Un suono di gong ed una presentazione “boxistica” ci introduce alla title track “Undisputed“, un altro orecchiabile hard rock da classifica abbastanza piacevole sulla scia dei più noti Def Leppard, prima di arrivare alla ballad “Complete“, scandita da note di pianoforte ad accompagnare la voce di Pete Godfrey alla quale si aggiungono poi, in modo graduale, anche gli altri strumenti fino ad un altro bel solo di chitarra prima della conclusione.
Come ultimo tassello infine ecco “All I Wanna Do“, brano moderato con un andamento malinconico e meditativo che chiude il full length.

In definitiva “Undisputed” si presenta tutto sommato come un buon lavoro, spontaneo e di piacevole ascolto anche senza offrire spunti particolarmente geniali.
Nulla che non sia stato già sentito, ma comunque un prodotto scorrevole che senza avere l’ambizione di diventare una pietra miliare del genere si lascia ascoltare volentieri.
Riallacciandoci al discorso iniziale, godiamocelo con la stessa spensieratezza e leggerezza con cui ci godiamo gli ultimi sgoccioli di quest’estate 2021.
Anche perché, una volta passata farà presto a tornare inverno e sarà di nuovo ora di rispolverare gli album degli Immortal

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