Recensione: Undivided
Strano il dualismo che caratterizza un recensore.
Da un parte il fan: affezionato, onesto, passionale, speranzoso che il disco che andrà ad ascoltare lo entusiasmi e gli regali emozioni a profusione, intimorito da una potenziale delusione che andrebbe a vanificare anni di attesa e di false illusioni.
Dall’altro lato, c’è il recensore, lo “scribacchino digitale”.
Ammettiamolo, a volte è più divertente trovarsi tra le mani un disco pessimo, sul quale (in modo colpevolmente sadico) sputare veleno, trovando battute sarcastiche per “stroncare” i malcapitati di turno.
Nel caso dei Moritz, avrei ben poco da scrivere, forse perché, è possibile (ipotizzo!) che nella lingua italiana, le parole d’elogio siano presenti in numero inferiore rispetto a quelle di biasimo.
Il gruppo britannico, torna dopo ventiquattro anni di silenzio, pubblicando sotto l’egida di Harmony Factory, questo “Undivided”, piccolo, grande regalo per gli amanti delle sonorità AOR.
Questo disco rappresenta un volo transoceanico, grazie al quale, partendo da sonorità prettamente melodic-rock anglosassoni, raggiungiamo gli States, dove ad attenderci al virtuale aeroporto, troviamo una delegazione capitanata dai Journey e composta da Survivor, Foreigner e Night Ranger tra gli altri.
La band invece, non usa un normale aereo per questo viaggio musicale, ma una vera e propria macchina del tempo, mezzo fantascientifico che li catapulta dal Marquee, anno di grazia 1988, ai nostri giorni, facendoceli ritrovare in perfetta forma, pronti a deliziarci come in quegli anni di fermento musicale (alquanto misteriosi comunque, visto che non ci si capacita di come una band di simile caratura non abbia mai pubblicato l’album di debutto, prima del 2010).
Il brano d’apertura, “Power Of The Music”, ci svela chi sono i “genitori musicali” dei Tara’s Secret, palesando un’attitudine ed un gusto musicale tipicamente inglesi, con cori potenti a sottolineare il refrain ed una tastiera che rifugge (per ora) i riff ed i fraseggi, limitandosi ad una funzione ritmica e di supporto a basso e batteria.
Il pezzo, davvero bello e memorizzabile, termina la sua sezione “elettrica” in fade-out, per poi lasciare spazio, ad una coda acustica, in cui il singer, Pete Scallan, ci scalda con la sua voce rotonda e bluesy.
Bellissimi i primi 25 secondi strumentali del secondo brano e title-track di questo album, in cui una splendida chitarra solista, ci accoglie e prepara ad un altro emozionante capitolo di ottimo AOR, in cui le influenze statunitensi iniziano a farsi sentire.
Citare solo alcuni brani, comunque, sarebbe un insulto all’integrità ed alla omogeneità di un lavoro davvero buono nella sua interezza, paradossalmente proprio per questo motivo è altrettanto sciocco operare una sorta di “biopsia” musicale, in quanto troveremmo sempre e solo le stesse caratteristiche in ogni traccia: una voce perfetta per il genere, calda ma capace di scalate verso le vette delle tonalità più alte, sempre in grado di emozionare modulandosi nel migliore dei modi, ritmiche potenti, tastiere onnipresenti, cori perfetti e puntuali, chitarre incisive, mai invadenti e capaci di ottimi solo, a volte davvero coraggiosi nel protrarsi oltre la durata standard, consapevoli di aver qualcosa da dire senza annoiare l’ascoltatore (il quale spesso, ammettiamolo, ha una soglia di attenzione e pazienza davvero bassa. Chi vota per eliminare il tasto “skip” dai lettori?).
Elogiamo in ogni modo il trittico finale di brani, fulgido esempio di classe e talento, in cui i Moritz, chiudono un disco perfetto, colmo di melodie ariose e solari.
Recensione noiosa, lo ammetto, ma cosa dire di un gruppo che suona “semplicemente” la propria musica nel miglior modo possibile? Ben poco da dire, ma molto da ascoltare, premendo ripetutamente il tasto play del nostro lettore e delle nostre emozioni.
Unico appunto (ad essere pignoli), la produzione.
Il gruppo, rammentando che proviene dal passato grazie ad un’avveniristica macchina del tempo, non ha avuto probabilmente la lungimiranza di “adattarsi” ai nostri giorni, proponendoci così suoni di tastiere e batteria (soprattutto!) decisamente old-school e purtroppo ormai desueti e superati.
Con una produzione maggiormente potente e moderna, questo “Undivided” sarebbe stato (ma forse lo è comunque…suvvia!) uno dei migliori dischi di quest’anno che volge ormai lentamente al termine.
Molti colleghi ben più bravi di me, direbbero: “buy or die”. Io posso solo consigliarvi caldamente un lavoro davvero piacevole.
Ops…la band ha lasciato la porta della macchina del tempo aperta, che ne dite di fare un salto nel futuro, diciamo… 2050 a sentire un concerto degli Iron Maiden?
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Tracklist:
01. Power Of The Music
02. Undivided
03. Should Have Been Gone
04. Who Do You Run To
05. Can’t Stop The Angels
06. Same But Different
07. Anytime At All
08. Without Love
09. Never Together
10. Lonely Without You
11. Can’t Get Away
12. World Keep Turning
Line Up:
Pete Scallan -Voce
Greg Hart – Chitarre
Peter Forge – Basso
Andy Stewart – Tastiere
Mick Neaves – Batteria
Mike Nolan – Chitarre