Recensione: Undress Your Madness
Quando, in occasione della nuova uscita dei Defiants, evocavamo Eclipse e Pretty Maids quali ipotetici concorrenti per un piazzamento di rilievo nel novero delle cose migliori dell’annata, lo facevamo a ragion veduta.
Sulla base di molta stima, ovviamente. Ma pure sulla concretezza di una serie di questioni oggettive che hanno da sempre suffragato l’opera di una coppia di band come quelle appena citate, i due frontman delle quali – giova ricordarlo – da qualche tempo si dilettano pure tra loro con il gradevolissimo progetto Nordic Union.
Già, perché sia Eclipse che, soprattutto Pretty Maids, sono moniker sui cui poter puntare praticamente ad occhi chiusi.
Della band di Erik Martensson s’è già detto con piacere il mese scorso; per quanto al riguardo di quella di Ronnie Atkins, eccoci, per l’ennesima volta, alle prese con una discussione puramente accademica incentrata sulle doti, i valori e le qualità di un gruppo che nell’arco di una carriera alle soglie del quarantennio, quasi mai ha conosciuto momenti d’appannamento o situazioni di grave calo d’ispirazione.
I dischi dei Pretty Maids, per chi li conosce, sono sempre stati un porto sicuro, un’oasi di certezza e confortevole continuità. Un momento in cui il fan di vecchia data ha sempre potuto ritrovarsi con la gradita convinzione di poter gioire di qualcosa di familiare, ancora fascinoso, strutturato in modo tale da apparire attuale ed al contempo amichevolmente vicino ad un flavour antico ed orecchiabile.
Un marchio di fabbrica sottoposto a qualche restyling ma comunque sempre fedele a se stesso e ben riconoscibile insomma, che per l’ennesima volta in parecchi anni arriva sul proscenio forte di un disco soggetto agli aggettivi ed alle considerazioni consuete e consolidate.
Molto ben costruito, supportato da una serie di canzoni quasi sempre di ottima fattura, eseguito ed interpretato in modo inappuntabile.
Ma soprattutto “godibile”.
Ecco, questo è probabilmente il termine che meglio si attaglia nel descrivere la musica dello storico gruppo danese: “godibile”.
L’ascolto di un cd dei Pretty Maids, infatti, è spesso un’esperienza che si rivela appagante e foriera di soddisfazioni, in virtù di un songwriting sornione, bilanciato con eleganza tra aggressività tipicamente heavy e contrappunti armoniosi di radice melodic rock (potremmo citare i soliti anni ottanta che, in qualche modo, ci azzeccano sempre!), racchiusi in una serie di canzoni all’interno delle quali rilevare momenti di immediata orecchiabilità e soluzioni easy listening.
La forza del rock e l’eleganza della melodia spinti alla massima potenza: una formula che i Pretty Maids non avranno forse inventato ma che li vede, con ogni probabilità, tra gl’interpreti migliori presenti attualmente sulle scene.
Gli esempi sono cospicui pure su “Undress your Madness” e vanno ad ispessire una lista già ricca di episodi storicamente piacevoli. “Firesoul Fly”, “Will you Still Kiss Me”, “Runaway World“, “Shadowlands“, “Black Thunder” e “Strength of a Rose” sono tutti episodi che si inseriscono con brillantezza nella scia delle canzoni che a partire dal seminale “Future World” hanno coniugato attitudini metallare con morbidezze melodiche, costruendo uno stile che ad oggi appare inconfondibile.
Una sicurezza maturata grazie, naturalmente, anche all’ugola aspra ed abrasiva del sempre splendido Ronnie Atkins, singer mai sottotono che proprio recentemente ha rivelato d’essere coinvolto nella battaglia del secolo, quella contro un subdolo, malefico ed assurdo cancro.
Un brutto colpo che speriamo di tutto cuore non si riveli determinante per il futuro artistico di Atkins e dei Pretty Maids, ai quali auguriamo una carriera ancora lunga e soddisfacente come quella realizzata sin qui.
In effetti, di album come “Undress You Madness” non ne avremo mai abbastanza: sarà sempre un piacere intimamente rinfrancante e carico di belle sensazioni l’accogliere ancora altri ottimi prodotti come quelli sfornati con costanza in tutti questi anni da Atkins e soci.