Recensione: Undying splendour

Di Alessandro Rinaldi - 31 Dicembre 2024 - 16:49
Undying Splendour
77

Josh Gee, Josh “Slikver” Young, Josef Bound e Jeremy Hughes sono i quattro ragazzi che compongono gli Atra Vetosus, band australiana attiva da oltre un decennio, e un lungo sonno da cui destarsi: era infatti il 2018 quando usciva il loro secondo disco, Apricity. Ma va detto che, a discapito della scarsa continuità, i ragazzi australiani hanno saputo tirar fuori tantissima musica di livello, e l’ultima fatica non si discosta da questo piacevole trend.

Undying Splendour si compone di sei tracce per un totale di 46 minuti di musica, in cui la band mostra un’evoluzione del suo suono, in quello che potremmo definire, il passaggio da crisalide a farfalla: gli australiani pongono l’accento sull’elemento melodico e atmosferico, intraprendendo una nuova direzione, ben più delineata e matura rispetto ai precedenti lavori che comunque restano più selvaggi, primordiali, sostanzialmente più black. Una nuova via, quindi, per gli Atra Vetosus: un percorso da battere ed esplorare, che li ha portati in una direzione diversa rispetto agli esordi, lasciando tuttavia inalterata la loro natura.

Si parte con This Fallow Heart, che si focalizza immediatamente sull’intensità emotiva, poggiando su due colonne, la sua natura prog, in cui emerge, in tutta la sua vitalità, la linea di basso, e l’animo black, impersonificato dalla natura radicata del growl; la capacità di alternare luci ed ombre e renderle faccia della stessa medaglia sono il segreto della sua grandezza. Transcendental Flight è un brano maestoso ed imponente in cui emerge il lato black nella sua oscura poesia, intrecciandosi con la sua epica atmosfera; Elysian Echoes tiene il passo del suo predecessore, muovendosi nella stessa direzione compositiva. Si arriva al cuore pulsante di Undying Splendour, alla sua arkengemma, Forsaken Dreaded Paths: una dolce poesia su pentagramma, scritta col nero inchiostro che viene dalle lacrime di Persefone, e cantata da un malinconico piano, che sa urlare e lacerare, con il suo growl, e affondare il colpo, in profondità, con il suo black furente. La grazia di Where Limbs Become Trees, ci conduce per mano verso l’ultimo passaggio, Tormentation of The Guileless, una furente critica verso il genere umano, e la sua attitudine distruttiva: qui il contrasto tra le due anime si fa più evidente, per via del growl, più cavernoso, e della parte black, più incisiva e graffiante che mai.

Il letimotiv del disco è il contrasto tra elementi diametralmente opposti, antitetici, perché dove c’è la luce, l’ombra si fa più oscura: Undying Splendour scava in profondità dell’ascoltatore, raggiungendo la sua intimità. Ed è questo, il punto forte del disco. Tuttavia, i fans di vecchia data, potrebbero storcere il naso per via del cambio di sound, meno grezzo, più elaborato e sinfonico, ma pur sempre frutto di un’evoluzione – o maturazione, che dir si voglia – che potrebbe non mettere d’accordo tutti. Undying Splendour, resta un lavoro che suona come Atra Vetosus, concettualmente e strumentalmente, e che merita la vostra attenzione, per la sua tecnica, complessità ed emotività.

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