Recensione: Ungodly Forms
Quasi incredibili, i Sentient Horror.
Messisi assieme solo due anni fa, essi giungono subito al primo full-length: “Ungodly Forms”. Al quale, prendendo a caso una qualsiasi delle sue song, non si può che imputare con certezza una provenienza scandinava. Svedese, in particolare. Swedish death metal, ancora più nel dettaglio. Quello dell’irripetibile triennio formativo 1989 ÷ 1991, quando gente come Dismember, Dissection, Entombed, Grave, Unleashed, fra gli altri, dettavano legge, oltre che a elaborare quello stile che sarebbe entrato per sempre nella Storia del metal estremo.
Invece, i Sentient Horror sono americani, del New Jersey. Una sorpresa assoluta. Non solo per la localizzazione geografica ma per il loro sound che, nonostante sia stato elaborato in due soli anni, riesce ad acchiappare l’anima del più puro degli swedish death metal in maniera clamorosa. Talmente incredibile, si narra, da aver indotto il mastermind in materia, Dan Swanö, ad affermare, letteralmente:
One of the best SweDeath projects I have come across in 20 years. The perfect blend of all the highlights from the Swedish scene from 89 to 91. Truly awesome!”.
Considerazioni semi-leggendarie a parte, i Sentient Horror si possono considerare davvero, attualmente, come uno dei migliori ensemble in grado di riproporre le fattezze di un genere per loro non natìo. Bensì derivato dalla cultura, dalla preparazione, dallo studio, dalla conoscenza, dalla passione, dal talento di sapersi immedesimare con coerenza in ambienti spazio-temporali diversi dai propri.
Nondimeno, oltre al sound, al groove, al mood che hanno portato a identificare correttamente “Ungodly Forms” come punto fermo di uno stile ormai quasi trentennale ma reso attuale dai Nostri, ci sono le canzoni. Nulla di trascendentale, al momento, ma senz’altro sopra le media che act similari propongo incessantemente. Circostanza prevedibile, del resto, poiché lo swedish death metal basa molto del suo feeling sull’impatto sonoro, sulla scabrosità (intesa come sensazione tattile) degli erculei riff che, costantemente, volano alla velocità del suono. Sul caldo supporto ritmico delle ondulate linee di basso, su un drumming che non è mai ossessivo, se non in qualche raro momento in cui si entra nel territorio dei blast-beats, ma impegnato a rendere quella sottile, impercettibile, unica sensazione di trascinamento. Come se lo stile musicale si sincronizzasse con la strascinata deambulazione del fisico umano nell’ultima fase di vita.
Però, almeno per il poco che si può assorbire da un solo full-length, il quartetto a stelle e strisce ha nella sua faretra molte frecce da innestare sull’arco. Prova ne è la stupenda suite finale, ‘Celestial Carnage’, che, partendo da cadenze blande, sulfuree, doomose (l’umore del combo nordamericano è, non solo qui ma ovunque, tetro, criptico, adombrato da nere ragnatele), con un crescendo rossiniano scatena l’apocalisse sulla Terra grazie a un main-riff devastante e da un’irresistibile sinergia fra le chitarre stesse e il bellissimo growling di Matt Moliti. Una prova di completezza tecnica, artistica e di songwriting che non può che lasciare sbalorditi, data la ridetta poca esperienza dello stesso Moliti e dei suoi compagni, perlomeno a proposito del progetto Sentient Horror.
Bravissimi in tutto, promossi a pieni voti.
Daniele D’Adamo