Recensione: Unholy Savior
Stavo cercando informazioni sui Battle Beast in rete, qualcosa di più profondo del solito nozionismo del tipo la cantante è bionda, sono finlandesi, fanno power metal retrò ma anche no. Dopo aver spulciato interviste, recensioni e altro mi sono perso in Janis Joplin. Riflettevo sulla possibilità che Janis potesse essere metal o meno. Stiamo parlando del 1968 e lei trasformava vocalizzi in note distorte, melodie in oscurità senza ritorno. Adesso vi racconto in che modo mi sono imbattuto nella cantante americana passando per la Finlandia. Sono certo che non vedete l’ora.
I Battle Beast nel 2012 sono pronti a partire in tour con i Sonata Arctica e a registrare il nuovo album, ma Nitte Valo decide di lasciare la band e quale miglior modo di cercare una cantante che la sostituisse se non Youtube? E che c’è una tizia bionda suggeriscono gli amici, ha un viso simpatico (sto facendo del nozionismo mi sa), si chiama Noora Lohuimo e canta “Piece of my Heart” di Janis Joplin in un video girato in un locale della Finlandia. Anton Kabanen (chitarra e voce) folgorato dalla prestazione di Noora la arruola senza nemmeno il tempo di un paio di flessioni di riscaldamento. Lei è perfetta per i Battle Beast. Noora ha una voce che è nitroglicerina, meglio non avvicinarsi troppo. A tratti sfiora il death, a volte sembra Rob Halford con su una parrucca. Il loro secondo omonimo album del 2013 la vede esordire, ma a dire il vero sembra essere lì da sempre, infatti già dalla prima traccia intitolata “Let it Roar” (credo che pure il buon DeFeis aprezzerebbe) non fa prigionieri. Un diavolo per capello.
Due anni dopo ed è già tempo per un nuovo disco intitolato “Unholy Savior”, pronti per l’ennesima aggressione? Non è necessario.
I Battle Beast esordiscono in “Lionheart” e la prima traccia combina con sapienza Wasp, Sonata Arctica e Accept. Power metal con tastiere anni ’80 e assoli di chitarra veloci. L’aggressione vocale di Noora stavolta è diluita e culmina in un coro seguito da un virtuosismo sguaiato sulla melodia. Il tumultoso incedere si fa meno pressante rispetto al passato, qui non il combo finlandese non fa mai veramente male. Tuttavia il ritornello non ti esce dalla testa, neanche per sbaglio. Devo resettare per poter sentire il resto.
Così mi distraggo osservando il demone che campeggia sulla copertina. Roba da fumetti. I testi si ispirano a quella cosa lì, scontro tra bene e male, Kabanen è un fans di Berzek. Dicevamo.
Passiamo alla seconda traccia “Unholy Savior” malgrado il cantato si muova con rabbia e chiuda con ferocia, rimane ancorato a melodie dall’incedere alto, in bilico tra il sinfonico e l’hard rock. Pregevole e ben fatto sia chiaro, ma meno veemente (rispetto a che so “Fight, Kill, Die”), come se i Battle Beast fossero passatti dall’ hard rock/metal abrasivo stile Ac/Dc ad uno più vicino a sinfonie rilette in chiave Accept/Sonata Arctica/Helloween.
Stessa sensazione ascoltando “Madness” il cui ritornello si tatua nelle sinapsi accese ormai come un albero di Natale in corto circuito. Corrono le tastiere anni ottanta sempre presenti che sanno di cartone animato giapponese.
Nella terza traccia intitolata “I Want the World and Everything” invece puoi sentirci anche dentro un po’ di Europe, una Doro agguerrita e Ac/Dc truccati, come un motorino dei tempi andati. E la testa la scuotiamo con convizione. I Battle Beast sanno farsi piacere. “Touch of the night” è mezzo passo dalla disco anni ottanta e a uno dalla vostra balera di fiducia, ritornello da hit di piena estate (chi ha detto festivalbar?) e se sapessi ballare, lo farei proprio su sto pezzo (ma anche no).
In “Speed and Danger” sgommiamo verso alte velocità e qui si torna molto vicini al passato per un tributo al metal quello fatto di sudore e rumore. Poi staccano e piazzano dentro assoli di chitarra e tastiera alla Stratovarious in un approccio volutamente più grezzo. I Battle Beast riescono a sembrare altro come in “Sea of Dreams”, una versione dei Roxette sotto elettroshock, poi dilagano in melodie epiche e ancora la voce di Noora incede pulita per culminare in rabbia elettrificata. C’è pure una strumentale intitolata “Hero’s Quest” che non sfigurerebbbe come colonna sonora di un videogioco basato su un fumetto. Sento odore di Berzek.
Chiudono con un lento dopo l’ennesima incursione hard metal rock in “Far Far Away”.. Il brano intitolato “Angel Cry” si muove ancora in cresendo verso una rabbia controllata. Pezzo struggente e piacevole. Noora si muove leggiadra e virtuosa quando vuole, per poi azzannare con rabbia.
Siamo al bivio? Forse non ancora, ma siamo vicini. I fans che li avevano seguiti e apprezzati per i due album precedenti potrebbero storcere il naso per alcune soluzioni non ortodosse, invece ora i Battle Beast sono maggiormente attenti al lato melodico dei loro brani colorati con misura da parti progressive e sinfoniche, però diventa difficile non apprezzare determinate soluzioni compositive che riescono a trasmettere energia da concerto . Le melodie sono poi roba che non ti levi di torno facilmente. Un album che prova ad allargare la platea dei fans (chi ha detto Edguy? Già, sento il suono di fischietti ovunque) pur rimanendo, a volte per un niente, attaccato alla tradizione metal da cui sono partiti. Un buon disco, con alcuni brani particolarmente riusciti.
Però… leggere con attenzione le avvertenze prima dell’uso, alcuni ingredienti potrebbero causare allergia.
Marco Giono