Recensione: Unify
Fa piacere rilevare che l’eccellente Billy Sherwood è davvero molto impegnato professionalmente, in questi tempi, sebbene ciò avvenga anche in conseguenza di accadimenti davvero tristi. Da sempre transitante in area Yes, difatti, il musicista sta sostituendo il compianto Chris Squire in una delle due formazioni circolanti per portare in giro la musica della band di “Close To The Edge”, quella con Steve Howe e Alan White (l’altra è quella composta, invece, dal trio Anderson-Rabin-Wakeman).
Non solo. Il polistrumentista (ma soprattutto bassista e cantante) sta anche facendo le veci del pure recentemente scomparso John Wetton nel tour che gli Asia stanno tenendo negli Stati Uniti insieme ai Journey.
Due impegni da far tremare i polsi, per il confronto con due giganti delle quattro corde prog e rock, che Sherwood affronta con umiltà e maestria, a quanto è dato osservare su Youtube e sui social.
Il musicista, peraltro, nella sua carriera, oltre a militare negli Yes di Open Your Eyes e The Ladder, ha capeggiato anche altri progetti, sia come solista (vedi il recente “Citizen”), sia in compagnia di altri musicisti di rilievo. Si vedano, ad esempio, i CIRCA (con Tony Kaye), i Conspiracy (con Chris Squire) e gli YoSo (con Bobby Kimball, ex Toto).
Il suo esordio, però, è avvenuto molti anni fa con i World Trade, formazione in bilico tra prog e pop/AOR (un poco sulla falsariga degli Yes di “90125” e “Big Generator” – ma non dimentichiamo il sottovalutato “Talk”), autrice di due album nel 1989 (omonimo) e nel 1995 (“Euphoria”).
La line-up di quest’ultima band era completata da Guy Allison (tastiere), Bruce Gowdy (chitarra) – questi ultimi celebri anche per il lavoro con i melodic rockers Unruly Child – e Mark T. Williams (batteria).
Nonostante il tanto lavoro con Asia e Yes, orbene, Billy Sherwood ha trovato il tempo ora di riunirsi proprio con i vecchi compari dei World Trade e di realizzare per la Frontiers Music un nuovo platter dal titolo “Unify”.
A dispetto della copertina che richiama alla memoria i Dream Theater, è, invece, proprio la title-track Unify che costituisce una traccia ben esemplificativa dello stile generale del disco, proprio improntato sul lato prog-pop del suono degli Yes . Questa ispirazione torna anche in Lifeforce, gradevole, corale, evocativa e contrassegnata da un interessante assolo di chitarra, e in Same Old Song, in cui spuntano anche i suoni acustici di un mandolino, e che è uno dei brani del disco che forniscono all’ascoltatore la strana sensazione di essere alle prese con una sorta di Yes meets Peter Gabriel. Tanto avviene a causa della vaga ma persistente somiglianza della voce di Billy con quella del celebre ex cantante dei Genesis.
Gone All The Way, ancora, è una traccia progressive sospesa e corale prima, marziale e drammatica poi.
Pandora’s Box, invece, è una canzone più pop, sempre dominata dalla magistrale bass-line di Sherwood, così come On Target On Time, che però è più avvincente grazie al suono come di organo vintage.
Certo, qualche momento, come For The Fallen, appare in qualche modo troppo uniforme stilisticamente e dal punto di vista delle sonorità, tanto da sembrare assonnato e lievemente soporifero, ma ci pensano The New Norm (con i suoi ghirigori di tastiere alla Asia, con il suo sviluppo articolato e il basso in bella vista), e, ancora Where We’re Going (più nervosa ed energica e trapunta non solo delle note delle quattro-corde, ma pure da quelle scaturite da tasti d’avorio e da chitarre eleganti e limpide), a tenere alto l’interesse dell’ascoltatore per questo album dei World Trade.
“Unify”, in definitiva, è un disco che propone un prog-rock lineare e melodico, certamente debitore, come già detto, degli Yes “ottantiani”, di certi Asia, di qualche spunto del Peter Gabriel solista dello stesso periodo, ma anche del movimento neo-progressive inglese e dell’AOR dei Toto meno easy. Peraltro, pare che gli Yes dell’epoca del rilancio eighties (che il vostro recensore, sia detto, trova deliziosi) siano tornati di moda sia grazie agli omaggi da parte degli ultimi Haken sia al repertorio che la formazione Yes featuring Anderson-Rabin-Wakeman sta portando in questo periodo in tour.
Certo, un altro poco di energia rock (che, comunque, non manca) e qualche variazione atmosferica in più non avrebbero guastato, e avrebbe fatto virare il giudizio critico da “piacevolissimo e degno di ben più di un solo ascolto, ma senza far gridare al miracolo” a “disco da non perdere assolutamente”.
Francesco Maraglino