Recensione: Universal Collisions
Ed eccoci a recensire la quinta fatica discografica del chitarrista Francesco Fareri. L’album Universal Collisions, realizzato e autoprodotto nell’autunno del 2016, segue di tre anni il precedente Mechanism Reloaded e rappresenta letteralmente tutto ciò che l’enciclopedia del perfetto guitar hero dovrebbe avere e contenere.
Ma procediamo con ordine e parliamo anzitutto di questo virtuoso chitarrista laziale fondatore pochi anni fa della scuola Total Guitar Academy, vera accademia musicale per chitarristi che ambiscono ed aspirano ad emulare le gesta dei grandi guitar hero all’interno del panorama della sei corde.Veramente da apprezzare e ammirare gli sforzi compiuti per la realizzazione di questa scuola, prima sogn o, poi progetto e, infine, realtà nella quale vengono insegnate tutte le tecniche fondamentali per lo sviluppo della manualità e conoscenza didattica dello strumento. Francesco si avvale di un parco insegnanti veramente notevole tutti accomunati da grande professionalità, musicalità ed esperienza. Chiaro è il processo e il sentiero musicale, fin dalla giovinezza, intrapreso da Francesco che da grandi chitarristi tecnici e virtuosi come Paul Gilbert, Richie Kotzen e Greg Howe, come da lui dichiarato, prende ispirazione e linfa vitale catturando segreti, tecnica e amore per lo strumento. Il tutto verrà condito e insaporito negli anni dallo studio e apprendimento delle nozioni teoriche e armoniche musicali che gli permetteranno di realizzare i sopracitati album.
Senza dubbio strabilianti e straripanti le doti tecniche raggiunte da Francesco, che letteralmente incanta e sbalordisce per le cavalcate sonore e le architetture musicali proposte. Una valanga di note eseguite in ogni possibile forma e struttura: scale velocissime, sweep picking pulitissimi eseguiti con eccezionale maestria, tapping, riff potenti e aggressivi, arpeggi: insomma una vera e propria enciclopedia dello scibile chitarristico. Ascoltare Francesco dà quasi una sensazione di smarrimento e stordimento, tanto forte risulta essere l’impatto sonoro e virtuosistico proposto e sicuramente l’orecchio meno esperto ed avvezzo a questo oceano di note potrebbe quasi arrendersi e perdersi in una sorta di frustrazionem sopraffatto da tanta tecnica e pulizia d’esecuzione. Jason Becker e Malmsteen, guitar hero simboli degli anni ‘80 e ‘90 sarebbero impazziti per un chitarrista tanto virtuoso e sicuramente reminiscenze della loro superlativa tecnica sono comunque racchiuse nel forziere e nel bagaglio stilistico di Francesco. Ma anche la maestria di Steve Vai, la furia sonora di Michael Romeo dei Symphony X, la velocità e pulizia scalare di John Petrucci dei Dream Theater e Paul Gilbert dei Racer X: ebbene un po’ di tutto questo costituisce ed erige la cattedrale chitarristica di Francesco.
Universal Collisions è, ed è bene dirlo e sottolinearlo, anche se sembrerebbe quasi scontato, non un album strumentale ma un album chitarristico, un vero e proprio inno alla sei corde, ed è quasi paradossale in un momento storico dove molti tra i chitarristi più virtuosi del pianeta sperimentano nuove strade, nuovi stili, nuove sonorità rinunciando a volte alla cascata di note per mettere invece il proprio strumento al totale servizio della canzone. Non la canzone che diventa un libro di pagine bianche da colorare con mille colori disegnando forme, figure e scrivendo milioni di parole da leggere senza fiato, ma una storia, un racconto, una poesia da scrivere anche con la matita soffermandosi su ogni singola parola. E pazienza se il foglio su cui scriviamo sarà sgualcito o strappato perché l’importante sarà soltanto che le parole colpiscano il nostro cuore. Tecnicamente, ed è inutile quasi ribadirlo, l’album è ineccepibile, suonato in modo egregio, prodotto in modo non impeccabile, ma ammaliante per potenza sonora e groove.
Manca però, in parte, e spiace veramente dirlo, di anima e pathos e di melodie accattivanti che colpiscano al cuore l’ascoltatore facendolo inebriare e sognare catturato dallo scorrere della musica. Su tanti saggi e manuali chitarristici proposti si trovano esercizi di ogni tipo su scale, arpeggi, triadi, string skipping eseguiti a terzine, quartine, sestine dove viene richiesta sempre più velocità, precisione e pulizia. Pochi, tuttavia, si soffermano sulla effettiva necessità di suonare tutte queste note e su quanto sia difficile, una volta apprese le principali tecniche scalari e arpeggistiche, svincolarsi da esse proponendo uno stile arioso e personale. La tecnica, voglio precisare, è cosa fondamentale per la costruzione di un bagaglio musicale completo; ben altra cosa è la musicalità e la capacità di creare pathos e tensione con gli strumenti e le nozioni a disposizione e a volte la nota non suonata risulta essere più importante di quella suonata creando stupore ed emozione.
Tornando al disco di Fareri, sono dodici sono le tracce presenti in Universal Collisions e la matrice rock-progressive-metal direi che di base è presente in maniera preponderante in tutto il disco. Accattivante è l’opener “Universal Collisions”, dove un granitico riff fa da preludio a una composizione infarcita di virtuosismi con un’interessante inframezzo terzina to melodico e ben eseguito. Segue “Virtual Mind” altro pezzo egregiamente suonato che fa da apripista ad una delle tracce più belle e meglio riuscite dell’album: la sensuale, melodica e splendida “Deep Sea”, con echi, sfumature e ricordi di “Tender Surrender” e “For the love of God” di Steve Vai. Pezzo dolce, arioso e sognante: bravissimo Francesco. “Alone” è un altro pezzo di matrice prog con buone melodie e un interessante inframezzo dalle sonorità ricercate e dissonanti molto ben riuscite. Peccato, invece, a mio avviso, per “Crystal Space”, pezzo comunque godibile e come al solito stupendamente eseguito, ma l’inizio arioso dalle tinte fusion forse andava sviluppato in modo migliore, rendendo il pezzo qualcosa di diverso e sorprendente. La song invece poi riprende il cliché virtuosistico già ampiamente proposto e probabilmente perde di valore. Stesso discorso si ripropone in “Theory of Opposites”: uno splendido inframezzo acustico e sofisticato viene imprigionato da una cavalcata di note un po’ ridondanti che rendono il pezzo non troppo digeribile. Convince, all’opposto, “Parallel Lines” con i suoi intrecci melodici, per la pulizia esecutiva e la sempre divina e impeccabile tecnica esibita: altro pezzo di chiarissima impronta rock-progressive metal. “Abstract View” è invece ciò che non ti aspetti da Francesco, altro brano dalle tinte fusion molto interessante e accattivante. Forse però il pezzo andava maggiormente caratterizzato ed è un peccato perché sembra quasi che quando il treno sonoro del nostro guitar hero abbia timore di rallentare troppo e di non veder l’ora di tornare alle velocità più consone e sicure. Melodico e molto interessante è “Between You and Me” dove la melodia è al completo servizio del pezzo e le atmosfere, aldilà delle sfuriate finali, sono tranquille e rilassate. “Black Synthesis” è un altro bel pezzo granitico, solido, ben strutturato con i soliti soli vertiginosi e precede uno delle composizioni migliori dell’album. “Golden Jail” è forte di sonorità e divagazioni stilistiche alla Jason Becker e Steve Vai, che sono perfettamente miscelate tra loro, dando vita a minuti esaltanti e di ottima fattura. E si arriva ai titoli di cosa con l’ultima track del disco, “Sweepey Todd”, suonata interamente only guitar per degna conclusione dell’album.
Difficile sinceramente dare un giudizio su questo “Universal Collisions” in quanto la maestria tecnica ed esecutiva di Francesco Fareri lascia interdetti e a bocca aperta, e farebbe cadere nel baratro della frustrazione, come detto, moltissimi aspiranti guitar hero. Bisogna, però, essere sinceri e riconoscere che le emozioni o le scariche d’adrenalina o i momenti toccanti o di gioia o di rabbia, insomma tutto ciò che dovrebbe generare l’ascolto di un grande album musicale, faticano ad emergere imprigionati in una marea di virtuosismi e ipertecnicismi a volte veramente eccessivi e quasi un po’ autocelebrativi, di cui comunque, e questo non mi stancherò mai di dirlo, Francesco è spettacolare esecutore e creatore. Di certo, comunque, un piccolo tesoro da avere a tutti i costi per gli amanti del “guitar hero style”. Magari con il prossimo album Francesco ci sorprenderà e finalmente il suo cuore e la sua anima si libereranno da questa prigione di note regalandoci un quadro con meno colori ma dalle tonalità più luminose e brillanti.