Recensione: Unloved

Di Vittorio Sabelli - 30 Novembre 2013 - 9:57
Unloved
Band: Seeker
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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83

 

Quante band provano continuamente a mutare il death metal, contaminandolo con elementi tra i più disparati, cercando nuove avvincenti strade che non risultino già percorse e vagamente conosciute? Decine, centinaia, migliaia? Tra queste, quante sono quelle che realmente riescono a risultare originali e a farci sobbalzare al primo ascolto? Percentuale bassissima a mio avviso, nonostante l’impegno profuso durante il lungo lavoro di ricerca e sperimentazione sonora. Ogni qualvolta mi trovo davanti una band sconosciuta spero che il miracolo si compia, che non si debba andare obbligatoriamente a scomodare act che hanno scritto la storia, nelle quali tutti obbligatoriamente devono in qualche modo rapportarsi.

I Seeker predispongono ad attuare un ascolto che si sintonizzi con la loro nomea di ricercatori, e, imbattendoci in “Unloved” veniamo a scontrarci con la dura realtà che in terra texana il quartetto di Dallas propone, a suon di martellate sui denti! E si, nonostante siano sulle scene da soli due anni la proposta è tutt’altro che scontata e superficiale, sia per la qualità sonora (eccelsa) che, soprattutto, per la direzione che i Nostri hanno deciso di intraprendere, complessa ma efficace e mai scontata.

L’opener “Alone” è una tranvata sui denti, spietata rappresentazione della violenza scatenata dopo il feedback iniziale. Si denota ben presto la follia che caratterizza questo intero lavoro, che mette in luce il drumming pazzesco di Weaver, che non si allinea alla miriade di suoi illustri colleghi, sia per quanto concerne il settaggio dello strumento, atipico nel genere, sia per la mancanza di pattern o materiale semi-conosciuto, se non per qualche breve istante. La voce di Lucien è un ulteriore timbro malato che sfocia in un ‘ad libitum’ che chiama uno slow da capogiro. Stessa sorte tocca alla seguente “Pale Death”, che evoca però filoni più ‘orecchiabili’ per quanto il termine vada preso con le pinze (in questo caso), ma non appena avete trovato il giusto feeling con una sezione presto sarete catapultati in una nuova, che vi porta nuovamente in cerca del filo d’Arianna.

Che non troverete con disinvoltura d’ascolto! Perché la title-track “Unloved”, nonostante dia l’illusione di esser dritta vi porterà a scontrarvi con gli ambiti atonali della chitarra di Edgerton, che a tratti ricorda il Tom Morello dei Rage Against The Machine e a tratti sconfina in ‘zona Lemay’. Basso e batteria creano break-down storti e pesantissimi (“Regret”) che evolvono in tempi dispari e respiri inaspettati che lasciano il magone (“Dominance”). E si, perché i Nostri riescono a inserire spazi musicali laddove sono davvero in pochi a saperlo fare, dando maggior risalto all’effetto sorpresa.

Nonostante l’impegno alla ricerca continua del filo conduttore, si passa dall’intro in stile free di “She” ai suoi rallentamenti improvvisi, in cui sempre Weaver riesce a prendere per mano la situazione, dettando la retta via ai suoi. “When Hope Fails” va via più dritta rispetto alla media finora ascoltata, anche se il basso distorto e gli stacchi intermedi conducono nuovamente nel mondo della follia. Lucien non risparmia un briciolo di energia e la chitarra di Edgerton si lancia in qualche secondo di sweep’n’picking. In “Salvation” invece la batteria metalcore dell’inizio potrebbe far storcere il naso, ma quello che subito si storce è nuovamente il tempo, e il leader urla a gran voce il titolo stesso del brano, prima che lo stesso approdi in una sorta di *-core/cyber/industrial con la batteria che va per la sua strada tra blast e tempi spezzati, alla scoperta di una nuova sezione lenta di relativa calma che conduce al finale.

“There Is Nothing” finalmente sembra riportarli in terra con un ritornello esplicito, ma quel che succede dopo è ancora un assalto alla nostra psiche, tempestata per questi  minuti che chiudono con la conclusiva “Escape”, un quasi-doom sul quale si staglia ancora la chitarra di Edgerton e la voce di Lucien. La parte centrale addirittura sembra richiamare un sinfonismo atonale, senza tempo, che fa vivere ogni singola nota prima di riprendere il suo percorso senza troppe deviazioni verso la fine, che chiude con quel feedback che ci aveva ‘iniziato’ a questo folle viaggio.

Ottimo esordio per una band sconosciuta, capace di riuscire a distinguersi a primo colpo grazie alle ottime capacità individuali e a un gioco d’insieme di cui fa il suo punto di forza. Unloved è capace di tenerci inchiodati alle cuffie per tutto il tempo, e la nostra mente avrà difficoltà a uscirne fuori per un solo secondo, tanto vario è il materiale impiegato dai quattro. Una delle migliori uscite dell’anno nel loro ambito, che dà (non poche) speranze per il futuro.

Da tenere d’occhio. 

Vittorio “versus” Sabelli

 

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