Recensione: Unorthodox Equilibrium
A volte le band, o le loro label, s’imbarcano in improbabili neo-definizioni del genere suonato, magari poco rispondente alla realtà dei fatti, solo per dotare la band stessa di una caratteristica che la differenzi dalle altre.
Stavolta, però, quest’operazione appare del tutto legittima poiché il ‘sepulchral death metal’ coniato per i Shroud Of The Heretic è assolutamente rispondente a ciò che si trova in “Unorthodox Equilibrium”, secondo full-length del trio proveniente dall’Oregon. Ai quali, nati nel 2011, si possono inoltre annoverare un EP (“Boiled To Death”, 2012), e il debut-album (“Revelations In Alchemy”, 2014).
Si diceva del ‘sepulchral death metal’, quindi. Che, a parere di chi scrive, altri non è che death metal classico incrociato con il doom, pure esso di matrice ortodossa. Non che questo significhi che tutto sia scontato. Anzi.
Innanzitutto lo stile. Perfettamente delineato nella sua incredibile desolazione, è il complemento ideali a sogni tetri, oscuri, nei quali si è immoti protagonisti di grigi paesaggi desertici; sospesi in un rassicurante stato di non-esistenza creato dagli ipnotici riff di JT. E con tutto ciò, mettendo a fuoco con semplicità disarmante la personalità dei musicisti di Portland. Che, a dispetto di un sound dimesso e sotterraneo, si sviluppa con decisione e sicurezza di sé, lungo le… lunghe quattro tracce di “Unorthodox Equilibrium”.
Ecco, a proposito di song, è qui che insiste il secondo pregio degli Shroud Of The Heretic. Cioè districarsi abilmente in quattro suite senza cadere nella ripetitività, senza dar luogo a noia, senza scivolare nella prolissità. Al contrario, riuscendo a mantenere costante la tensione emotiva dell’ascoltatore, intrappolato – grazie, anche, ai sapienti inserti ambient (incipit di “Omega Apeiron”, per esempio) – nel trasognante universo in bianco e nero raffigurato nel platter. Oltre ad aver ‘azzeccato’ uno stile assolutamente coinvolgente, a parere di chi scrive la bontà del songwriting dei Nostri si nasconde nella semplice alternanza di fasi furibonde, convulse, claustrofobiche, asfissiate dal mostruoso growling di Thom nonché dai blast-beats di Lauren; a improvvisi rallentamenti ove, nuovamente, ricompaiono gli orrori nascosti nei più reconditi e neri anfratti che, come in una gruviera, forano la razionalità della mente umana.
Terzo elemento di pregio di “Unorthodox Equilibrium” è che il medesimo scorre con fluidità, uniformità, continuità. Senza alti né bassi, senza spazi vuoti, inutili. Senza picchi estremi. Una fluidità che è forse la principale condizione affinché l’immersione nel platter sia completa, totale, duratura.
Gli Shroud Of The Heretic, insomma, creano uno spazio assai vasto ove ciascuno possa liberare le emozioni meno solari. Come melanconia, afflizione, tristezza, assenza di gioia. Dietro protezione di una musica la cui anima natìa non concede alcun compromesso filosofico sulla direzione intrapresa.
Un album duro da mandar giù, soprattutto quando ‘fuori’ c’è felicità e luminosità mentre ‘dentro’ c’è sofferenza e oscurità. Ma, proprio per questo, “Unorthodox Equilibrium” si può rivelare a tutti – senza diaframmi, finzioni e ipocrisie – nella sua incontestabile verità.
Daniele D’Adamo