Recensione: Unseen
Incredibile ma vero, il qui recensito “Unseen”, settimo album nella pur giovane carriera degli americani Steel Prophet, esce nei negozi con la triste notizia dell’abbandono forzato del vocalist nonché simbolo indiscusso della band di S.Francisco Rick Mythiasin, degno alter ego del leader/chitarrista Steve “Blackmore” Kachinsky, una collaborazione che si rompe dopo ben quindici anni di cordiale sodalizio coronati dall’uscita di masterpiece del calibro di “Continuum”, “Into the void” o dello stupendo “Dark allucination”, album simbolo della rinascita del movimento power nella terra dello Zio Tom.
Ma nonostante il successo europeo attribuito alla band, sfociato nei vari tour come supporters di volta in volta a mostri sacri del calibro di Gamma Ray, Metal Church e Agent Steel, il buon Rick ha deciso di mettere la parola fine al suo rapporto con la band, nonostante abbia collaborato in prima persona alla stesura del songwriting di ben undici delle dodici tracks ivi incluse, vuoi per il successo quasi inaspettato dei Taraxacum, progetto parallelo portato avanti dallo stesso Mythiasin e Tobias Exxel chitarrista degli Edguy, vuoi per la sua entrata in pianta stabile in seno ai New Eden band con all’attivo due ottimi album su Nuclear Blast, guidata niente meno che dell’ex ascia degli stessi Steel Prophet Oracio Colmenares.
Tutto questo trambusto di presunti litigi e scappatelle, hanno inciso,ed anche se in maniera pesante, sul risultato finale di questo album. In effetti “Unseen” si estranea completamente dalla produzione recente della band statunitense, risultando molto personale, forse anche troppo, melodico e maturo, forse un pò difficile da digerire, e che necessita di vari ascolti per essere appreso sino in fondo, ma che cresce dentro fino a non poterne più fare a meno.
Lo stile compositivo dei cinque è evidente si dalle prime battute dell’iniziali, nelle cavalcate che hanno procurato agli Steel Prophet la nomea di Iron Maiden americani, e mi riferisco dell’accoppiata “Thruth/Rainwalker”, e soprattutto alla massiccia “Mirror mirror, life after life”, power track d’autore ad alta gradazione metallica, caratterizzata da una prova strabiliante di un Mathisyan sempre più sulle orme del maestro Dickinson.
Dopo di che il disco prende una strana piega fra divagazioni doom-eggianti, vedi la corrosiva “One way out” in cui sembra di ascoltare adirittura i St.Vitus, o la sgraziata “Blackest Of Hearts”,episodio sicuramente da dimenticare, e frangenti più introspettivi come la delicata “Magenta” dall’incedere molto Zeppel-iniano, o l’hard rock di “Martyred” forse più vicino a quanto proposto dai Taraxacum nel loro unico album finora pubblicato.
Dunque un platter che, visto con distacco, alterna luci ed ombre, che potrà deludere molti dei vecchia appassionati della band americana, ma che potrebbe piacere a chi invece non li ha ancora apprezzati sino in fondo. Spero con il cuore in mano che i nostri possano trovare un vocalist che sostituisca con valore il fuggiasco Rick, e che possano tornare a rivendicare il trono di miglior metal band americana, che credo gli spetti di diritto. Un disco bello ed onesto, ma da ascoltare e riascoltare.
Beppe “HM” Diana