Recensione: Until The Lights Go Out

Il percorso artistico che ha condotto i Freedomination alla pubblicazione del Full-Length di debutto è stato lungo: nati nel 2008 in Finlandia in circa otto anni hanno pubblicato una manciata di Demo ed EP. Poi silenzio fino al 2023, quando sono tornati con una formazione rinnovata del 50% ed il singolo ‘Heaven Sent’. Ora, finalmente, è la volta di ‘Until The Lights Go Out’, primo album vero e proprio, autoprodotto e disponibile dal 26 febbraio 2025 in formato CD e digitale.
I musicisti hanno una qual certa esperienza, in particolare Timo Ahlström, chitarrista/cantante ed unico rimasto della formazione originale, è stato in tour con i Barren Earth e si è esibito con gli Annihilator nel 2013, mentre gli altri componenti hanno militato o militano in altre band finlandesi tra cui Demonztrator, Architorture, Kiljuvelka-70 e Horrorfeast.
Il loro è un Heavy Metal ad ampio ventaglio, con andature che vanno dallo sparato tipico dello Speed fino ad altre più cupe e cadenzate.
L’ispirazione è classica, principalmente nordamericana e britannica: Judas Priest, Iron Maiden, Metal Church, Exciter, primi Queensrÿche … si percepiscono un po’ tutti, anche se il suono dei Freedomination più che agganciato alla Old School è essenzialmente contemporaneo.
Il lavoro di chitarra è complesso e sofisticato, anche quando viaggia a velocità della luce, con un sacco di riff mordaci, armonie, duelli asincroni, ecc., ogni tanto completato con tastiere riempitive che ne aumentano la densità. Basso e batteria creano un buon tappeto sonoro mentre la parte teatrale è affidata alla voce, profonda ed autoritaria, anche quando un po’ malinconica.
La scaletta è ben proporzionata, non ci sono filler o abbassamenti di tono e tutto scorre bene: il punto di forza di ‘Until The Lights Go Out’ sta proprio nell’essere un album duttile ma senza dispersioni, legato tutto assieme dalla forte personalità dei Freedomination.
Di particolare efficacia sono i primi tre pezzi: ‘Sin Road’, un iper-speed con il riff che assomiglia ad uno sciame di calabroni infuriati ed una linea melodica che ricorda gli Iron Maiden suonati a 78 giri, ‘Heaven Sent’, dal tiro più classico ed un giro Rock ‘N’ Roll di antica memoria e ‘The Raven’, pesantemente cadenzata e scura, malinconica e profonda.
Segue una ‘Second Chance’ un po’ ruffiana (difatti ne esiste una versione da passare alla radio), parecchio orecchiabile e più virante verso un mordace Hard Rock che non verso un ombroso Heavy Metal.
Valida anche la Title-Track, posizionata in chiusura: sette minuti adrenalinici (di cui i primi due strumentali) che mostrano la vena Prog dell’ensemble.
Concludendo: album senza sbavature, prodotto secondo canoni professionali con un buon bilanciamento di suoni moderni e riferimenti al passato, l’Heavy Metal di oggi, in poche parole, sviluppato da una band che sa il fatto suo e che speriamo continui a far parlare di sé. Sicuramente da seguire.