Recensione: Untitled
I Grave Upheaval provengono dall’Australia. Assieme al fatto che sia nota la loro discografia, altro da sapere non c’è. Anonimo il loro secondo full-length, “Untitled”; anonima la formazione (“–” alla voce, chitarra e basso; “–” alla batteria); anonime le canzoni (il prefisso “II” a indicare che “Untitled” è l’album numero due dei Nostri, il suffisso “I / VIII” per ordinare in sequenza logica le otto song).
Altro di essi non si sa, a parte la loro musica.
Ma, anche in questo caso, ci si deve scontrare con una realtà nascosta, ben celata, difficile da estirpare da un contesto buio e oscuro, che la luce della conoscenza fatica a penetrare. Il genere teorico è death metal, senz’altro sperimentale, che si annoda in maniera stretta con il funeral doom per un amalgama destabilizzante.
Le stesse tonalità dello stile, il quale si può affermare sostanzialmente unico a livello di produzione discografica ufficiale, sono talmente rivolte verso le super tonalità basse – à la Sunn O))), per intendersi – , che tutto il resto (voce, chitarra e batteria) resta intrappolato in una nera fanghiglia di rombanti turbinii di note prossime allo zero Hertz. Perfino i piatti del drummer “–” cercano di alzarsi dall’immenso lago di mota generato dalle cupe tonalità della quattro corde di “–”. Invano. L’effetto, tuttavia, è ipnotico, da incantatore: l’osceno rimbombo non smette mai di avviluppare e fagocitare qualsiasi entità e/o cosa che abbiano a che fare con note e accordi.
Quest’effetto è chiaramente il marchio di fabbrica del duo del Queensland, teso a creare atmosfere mortifere pregne del fetore della putrefazione anaerobica delle carni. La timbratura di un sound elaborato per entrare in risonanza con le molecole del corpo umano, sì da generare lugubri visioni di cimiteri dissacrati, di tombe scoperchiate mescolando assieme terra e ossa. Se ciò era quello che i Grave Upheaval intendevano restituire, nell’elaborazione del loro sound, si può affermare senza dubbio di sorta che essi siano riusciti nel loro bieco intento.
Con delle premesse simili è chiaro che diventa molto arduo riuscire a riconoscere le varie tracce. Il growling di “–” è poco più di un rauco ringhio emesso da qualche animale infernale intanato nelle viscere della terra, insufficiente a fornire la discriminante fra un pezzo e l’altro. Pure chitarra e batteria svolgono un compito inadatto a fornire lo spunto per discernere le differenze fra ‘II-II’, per esempio, e ‘II-IV’. Qualcosa emerge invece in ‘II-V’, soprattutto nell’incipit furibondo sfracellato da un riff segaossa e da una batteria che sfonda la barriera dei blast-beats. Un brano… tradizionale, che – pur galleggiando nell’identico marciume degli altri – dona perlomeno un’idea più chiara, se così si può dire, dell’inconfondibile incedere della coppia di pazzi scatenati.
È evidente che “Untitled” o si ama o si odia. Senza vie di mezzo. Senz’altro possiede un fascino macabro tutto su ma, anche, non offre alcuna gratificazione a chi, invece, da un lavoro di death metal esige tecnica e arte; elementi lontani anni-luce da quello che rappresentano i Grave Upheaval.
Inevitabile la mera sufficienza.
Daniele “dani66” D’Adamo