Recensione: Untold Secrets
Se vi piace il death metal melodico e magari nomi quali Dark Tranquillity e primi In Flames sono il riferimento cardine dei vostri preferiti, gli Sculptor potrebbero davvero fare al caso vostro. Il quintetto approda nelle file della Frontiers Music per un debutto che profuma di Made in Gothenburg, con l’album intitolato Untold Secrets. Si tratta di un esordio delicato, perché ambisce ad unire due puntini così geograficamente distanti, quanto stilisticamente tenuti insieme da un filo parecchio sottile, quello che definisce un sound personale e che rispecchia nella profondità di una partitura mai scontata e di una costruzione per nulla convenzionale, ed il più ispirato death metal di stampo svedese, in questo caso partorito nella caliente Curitiba.
Una breve introduzione immette la prima vera e propria canzone intitolata No Control, la quale riprende al meglio quanto sentito con il singolo Oblivion, che ha consentito ai nostri di mettere le basi in un genere che sembra ormai appartenere ai primi anni 90. Con la successiva Redemption abbiamo una ancor più forte svolta verso il gusto analogico di una registrazione effettuata in terra natia, ma di un mixaggio che ha preso vita ai Fascination Street Studios, in Svezia appunto, con il fondamentale supporto di Linus Corneliusson. Non è importante pestare veloci come i più tirati At The Gates, ma piuttosto far convivere un songwriting libero da ogni preconcetto e paletto compositivo. Ne è un esempio l’insolita Beyond Madness, che non è in grado di colpire appieno al primo ascolto, ma poi cresce e permette di capire realmente che gli Sculptor siano fortemente concentrati nel sottolineare – testualmente e musicalmente – che ognuno è artefice del proprio destino.
La produzione non è cristallina come ci si aspetterebbe da una release datata 2020, ma se riuscite a sopperire a questo aspetto probabilmente anche voluto in fase di editing e concentrarvi esclusivamente sulla musica e su come le chitarre vadano ad amalgamarsi alla perfezione con la sezione ritmica e con la voce di Rick Eraser, ecco che vi sembrerà di essere tornati agli albori del genere, anzi del sottogenere. Ed è per il medesimo motivo che man mano che entri in confidenza con Untold Secrets, ti ritrovi ad apprezzare maggiormente gli underdogs – i brani meno scontati – quelli meno diretti, o che magari elevano il contrasto tra death metal e melodia con le malinconiche strofe di Embrace Yourself o il quasi tormentato costrutto di Empty Space.
È verso il finale che si comincia a percepire un pizzico di instabilità e con questo non intendo assolutamente dire che il livello scenda, ma piuttosto che la coesione dei brani si fa più particolare, rendendo a tutti gli effetti il trittico composto da Requiem, Untouchable Truth e Wake Me Up When The Pain Goes Away più old school, più indirizzato ai puristi del genere, che a quell’ipotetico ascoltatore 3.0 che sperava di trovarsi di fronte a strofa+ritornello al limite del radio friendly, accentuando il distacco con quanto invece inserito in apertura di album.
Gli Sculptor mettono a segno un ottimo disco di debutto, su questo non c’è nulla da eccepire. Al contempo si nota ancora un sound che ha bisogno di maturare, soprattutto mettendo insieme i vari pezzi di puzzle disseminati qua e là, magari sviluppando un paio di canzoni che sappiano svettare ulteriormente e alzare di conseguenza il livello globale dell’album. La strada intrapresa è quella giusta, ma soprattutto non è per nulla scontata, senza contare quanto la conclusiva Watch Rope sia un ulteriore richiamo agli albori del death metal melodico nato così distante dalla patria degli Sculptor, che dimostrano che nella musica – una tra le più pure forme d’arte – ogni concetto sia relativo e dipenda esclusivamente da chi ne modella le forme.