Recensione: Unveiling; Arising

Di Tiziano Marasco - 15 Luglio 2018 - 0:00
Unveiling; Arising
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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55

Gli Stati Uniti negli ultimi 15-20 anni hanno dato moltissimo al black metal, dandogli nuove forme e linfa vitale. Possiamo citare gruppi che sono vere colonne portanti del genere (su tutti gli Agalloch o i Nachtmystium, sebbene entrambi sciolti) così come progetti che ci hanno regalato una solo uscita di una bellezza abbacinante (Gallowbraid? Caladan Brood?). È ora il turno di With the End in Mind, gruppo proveniente dallo stato di Washington, ovvero quello che ha dato i natali, tra gli altri, ai Nevermore e al grunge.

Anche in questo caso, ci troviamo innanzi a una one-man-band, che ha già dato alle stampe due demo e un debut, uscito nel 2016. Il sound è marcatamente di matrice post rock, tuttavia con sfuriate chitarristiche e sparuti growl che portano le atmosfere in direzione del black.

Senza girarci troppo attorno, affermiamo lapidariamente che il secondo album del progetto, intitolato “Unveiling; Arising” hanno davvero poche possibilità di lasciare il segno o di emergere da un panorama saturo di band fotocopia. Non perché l’album sia in sé da buttare o perché il nostro commetta ingenuità. Ma semplicemente non c’è nulla di nuovo. Certo, difficile fare qualcosa di nuovo in un genere simile, dove basta inserire delle leggere accelerazioni chitarristiche su basi estremamente lente con atmosfere sospese. Pure, molte band hanno dimostrato di sapere fare molto con le rigide regole di questo genere.

Qui invece tutto pare scontato, le parti atmosferiche naufragano nella loro stessa prolissità e le accelerazioni passano quasi inosservate. Se poi non possiamo fare colpe per un songwriting ancorato alle rigide regole del caso, dall’altro possiamo dire che nessuna delle cinque tracce di “Unveiling; Arising” brilli per ispirazione. Non ci sono riff che rimangano nell’orecchio, non si creano atmosfere d’impatto.

Insomma, se With the End in Mind vuol farsi strada nell’impervio oceano piatto del post-black, in futuro potrà certo fare affidamento sulle basi tecniche messe in mostra in questo album. Ma dovrà impegnarsi molto di più sul lato “emozionale”, quello che produce melodie già sentite, ma che comunque fanno tirare il fiato. A noi non resta che cercare altrove, anche perché di band simili ce n’è a migliaia.

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