Recensione: Unworthy Grave
I modenesi Psychostasy riprendono il discorso interrotto ben 7 anni fa e ripartono dalla violenza e dalla precisione chirurgica di un death metal tecnico mai fine a se stesso. Si intitola Unworthy Grave ed è il lavoro disponibile su tutte le più note piattaforme digitali e prodotto da un quartetto in forma smagliante e con un bagaglio tecnico individuale pari ad un’ispirazione che offre un risultato di elevata caratura, anche grazie ad una produzione senza alcun tipo di sbavatura e che riesce a frantumare i timpani dell’ascoltare contro un muro sonoro confezionato con uno scopo ben preciso: viaggiare veloce e pestare forte.
Il disco degli Psychostasy non va però preso soltanto per un buon vortice di note, doppia cassa e sweep, infatti nella trama di ogni singolo brano che compone i quasi quaranta minuti di questo album troviamo un songwriting maturo e che preso a scatola chiusa sembra venire dalla migliore compilation death metal made in U.S.A. che il vostro negoziante di fiducia potrebbe mai consigliarvi. I brani sono tutti coesi tra loro, dimostrano come ci sia una chiara idea alla base di Unworthy Grave, eppure ciascuno di essi offre qualcosa di differente. Quelli che si articolano su ritmiche più cadenzate, quelli che mettono in primo piano l’espressiva profondità del singer Andrea Piro, quelli che concedono maggiore spazio di manovra alle chitarre di Francesco Pini e Marco Carboni, con il buon Stefano Costi a maltrattare le corde del basso e creare un sottofondo metallico che strizza l’occhio ad un sapore old school. Se state cercando qualcosa che assuma le sembianze del tanto bramato “pacchetto completo”, gli Psychostasy sapranno come soddisfarvi e il loro nuovo lavoro è un esempio lampante di come la scena italiana non abbia nulla da invidiare, neppure a quei nomi che godono di produzioni e distribuzioni con molti più zeri sul budget.