Recensione: Upon This World
“Upon The World” è il secondo album degli svedesi Meduza, dopo un debut – “Now And Forever” – di discreto successo, soprattutto nell’onnivoro Sol Levante.
Il produttore del primo disco, Mike Wead (Mercyful Fate, King Diamond, Memento Mori), ha voluto essere presente anche in questa release, che dovrebbe essere una sorta di prova del nove per la band, in una fase di consolidamento soprattutto dal punto di vista del sound.
I tratti dominanti della musica dei Meduza risiedono in un power metal sinfonico e neoclassico, non troppo tirato, con l’ovvia attenzione per la melodia. Il songwriting quindi non farà gridare al miracolo, influenzato com’è dal repertorio malmsteeniano per le linee di soli e tastiere, e dagli americani Symphony-X, soprattutto sui riffing e sulla ritmica.
Si parte proprio con questi ultimi, dal momento che l’accattivante opener “Divina Comedia” ricorda sul refrain un’altra accattivante opener, “Of Sins And Shadows”… I due brani seguenti, “The Vision” e “Dream On” appesantiscono l’atmosfera e rallentano i tempi con una composizione in stile Masterplan (il primo) e con voci filtrate su un riff orientaleggiante (il secondo), prima di finire in un logorroico assolo malmsteeniano.
Sembrerebbe di sentire “I’ll See The Light Tonight” del chitarrista scandinavo nell’incipit di “Upon The World”, prima di poter dire di essere sicuri di stare ad ascoltare il ritornello della già citata “Of Sins And Shadows”…
Si torna su ritmi cadenzati con “Face Of A Demon”, e la sostanza non cambia, è un un ping pong continuo tra riffing Symphony X e neoclassicismi malmsteeniani.
La voce di Apollo (ex Majestic e Time Requiem) di rado esce dagli schemi, e sarebbe alquanto difficile in determinati canoni, sebbene io la trovi più adatta a brani serrati, come “Can You Tell”, molto “Rising Force”, per l’impatto. Anch’essa come le altre soffre troppo del paragone con i maestri del genere, e lo stesso Stefan Berg si riscopre emulo di Yngwie quando è un po’ troppo tardi, senza nulla voler togliere alla sua tecnica, che per quanto riguarda la scala minore armonica discendente ha ripassato la lezione a memoria…
La visionaria “Voices”, con tanto di dialoghi robotici a “cibernetizzare” l’atmosfera, mi sembra una alternativa (seppur discutibile) alla stantia proposta musicale di un genere in decadenza, oltre ad avere l’indubbio pregio di offrire ad Apollo la possibilità di mettersi un po’ in mostra senza dover riciclare le imprese di Soto o Allen. Si torna ad un brano diretto e cantabile dal primo ascolto con “Design For Live”, dal chorus che strizza l’occhio all’hard rock tedesco dopo strofe di nuovo in stile Masterplan.
Ancora voci filtrate aprono il miglior pezzo del disco, il conclusivo “In Death”, ispirato ed emozionante come il resto dell’album non avrebbe mai lasciato immaginare. Si chiude su questo struggente lamento un disco che lascia l’amaro in bocca per le enormi potenzialità di una band che preferisce fare il verso a i suoi ispiratori, non lasciandomi altra scelta che consigliarne l’acquisto ai soli fans delle band succitate.
Tracklist:
- Divina Comedia
- The Vision
- Dream On
- Can You Tell
- Upon The World
- Face Of A Demon
- Voices
- Design For Live
- In Death