Recensione: Urban Legends, City Vampires

Di Francesco Sgrò - 30 Maggio 2014 - 17:02
Urban Legends, City Vampires
Band: Lipstick
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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75

Gli italianissimi Lipstick si collocano direttamente nel calderone di tutti quei gruppi che con fierezza vivono nei ricordi del decennio d’oro degli anni ’80.
Il gruppo Capitolino, in attività da poco più di un anno, prendendo a modello realtà fondamentali del panorama Rock mondiale come Skid Row, Motley Crue, Saxon e Poison, annuncia la propria esistenza dando alle stampe questo “Urban Legends City Vampires”, primo EP in carriera che in poco meno di venti minuti si prefigge lo scopo di mostrate le abilità tecniche e compositive del giovane quartetto tricolore, in quattro tracce di puro Heavy Rock ruvido e alcolico per una miscela esplosiva di buona musica e tanto divertimento.

L’essenzialità della non proprio evocativa copertina che accompagna il lavoro è totalmente mitigata dall’ottima produzione che caratterizza al meglio l’opera: come impone la tradizione del genere, si presenta pulita ma aspra allo stesso tempo, in grado di esaltare i singoli elementi al fine di donare la giusta dose di potenza alle composizioni proposte.
Proprio come dimostra l’iniziale “Dancing”, in cui il drumming serrato e preciso del batterista Arizona “Hurricane” Bob, costituisce una base estremamente solida su cui si adagiano i grezzi ma efficaci riff chitarristici curati dal bravo Arkady Camelot e le acute melodie orchestrate dal singer, protagonista di un refrain semplice ma del tutto vincente.
Abbandonate le velocità sostenute del brano apripista, con “Savage” i nostri approdano su lande maggiormente massicce e cadenzate, tessendo un affresco Heavy tipicamente anni ’80, che grazie nuovamente ad un coro orecchiabile e stradaiolo potrebbe facilmente rievocare l’anima dei Saxon di un album come “Denim And Leather”.

Sulla scia del brano appena ascoltato, i Lipstick costruiscono le fondamenta della potente “Fuel 4 A Lady”, la quale risulta ancora dominata dall’operato svolto dalla sei corde del già citato Arkady Camelot, abile nel macinare riff e parti soliste di ottima fattura, con sempre particolare attenzione alla componente melodica. In questo caso l’armonia è più che mai accentuata in un ritornello irresistibile, in stile Def Leppard del periodo “Pyromania”.
Un pulsante giro di basso si pone alla base della conclusiva “Shake It Up”, che ricordando molto lo stile dei primi e migliori Skid Row, conferma la qualità di quanto proposto dalla band e chiude con successo questo buon antipasto al primo vero album che presumibilmente vedrà la luce nel prossimo futuro.

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