Recensione: Urd
Non amo girare troppo intorno alle questioni; certe volte bisogna essere diretti, arrivare subito al punto. I Borknagar sono, in assoluto, tra le migliori band in circolazione. Dite quel che volete, fatto sta che, in sedici anni di carriera, i Norvegesi non hanno ancora sbagliato un colpo. Certo, alcuni lavori -su tutti il penultimo “Universal”- non hanno toccato vette qualitative eccelse, ma ad oggi non si può ancora parlare di un vero e proprio passo falso da parte dei Nostri.
Sarà quel modo tutto loro di intendere il metal estremo, saranno le grandi capacità esecutive di ciascuno dei membri, sarà quella fonte inesauribile di idee geniali che risponde al nome di Øystein Garnes Brun, ma è un dato di fatto che i Borknagar rientrino in quella categoria di gruppi veramente dotati di una marcia in più.
Un’introduzione così trionfalista non è fuori luogo e ci serve a presentare “Urd”, ultimo parto del sestetto di Bergen, che si rivela essere un album eccezionalmente riuscito e ambizioso. Prima di addentrarci nella descrizione dell’opera, credo sia doveroso spendere almeno due parole sulle menti che si celano dietro a questo progetto. In primis c’è lui, il mastermind Øystein G. Brun, un chitarrista capace di tirare fuori dal cilindro riff magici, violenti, travolgenti eppure di un’eleganza indiscutibile; accanto a lui, sempre alla sei corde, troviamo Jens F. Ryland, che contribuisce significativamente a dare potenza alle linee di chitarra. C’è poi Lazare, un piccolo mago delle tastiere, abile nel costruire atmosfere, ora sognanti ora oscure. Il lavoro di keyboard è da sempre centrale nelle composizioni dei Nostri.
Cosa dire poi di quel David Kinkade che si è trovato a dover sostituire Asgeir Mickelson, uno dei migliori batteristi in circolazione? Beh, il drummer americano ha da sempre svolto il suo lavoro con una precisione che definire chirurgica è quasi riduttivo. Velocità, potenza, varietà sono caratteristiche che al giovane musicista proprio non mancano.
Dulcis in fundo ci sono loro, la coppia delle meraviglie: di chi stiamo parlando? Di ICS Vortex (al secolo Simen Hestnæs) e di Vintersorg (pseudonimo di Andreas Hedlund), due voci diversissime ma entrambe uniche. Il primo, rientrato in pianta stabile dopo la bellezza di dodici anni, si occupa anche delle linee di basso -sostituendo niente meno che Tyr- mentre il secondo mantiene il suo posto di lead-singer.
Dicevamo prima che “Urd” è un disco davvero riuscitissimo e, credeteci, non stavamo affatto esagerando. I Borknagar propongono infatti, per l’ennesima volta, un songwriting di qualità sopraffina, estremamente coinvolgente e avvincente; le composizioni sono talmente solide e varie che è davvero impossibile annoiarsi, anche solo per un istante. Per di più, nonostante l’evidente complessità delle strutture delle tracce, bisogna evidenziare come l’ascolto non sia affatto arduo: le canzoni scivolano via che è un piacere, appassionando come non accadeva da tempo.
Da un punto di vista prettamente stilistico, questo lavoro si posiziona, idealmente, a metà tra l’incompreso (e a mio parere strepitoso) “Quintessence” e l’altrettanto eccellente “Empiricism”, apparendo, dunque, come una sorta di sintesi di quanto fatto fin’ora dai ragazzi. Nonostante ciò, ci si accorge sin dalle prime battute che “Urd” ha una sua identità forte, unica.
Le parti più tirate e violente si alternano con quelle più riflessive e, per certi versi, più vicine al buon vecchio progressive d’annata.
Decidere quale canzone sia la migliore diventa, mai come in questo caso, un’impresa davvero ardua. Da un lato ci sono i pezzi più più “pacati” quali la strumentale “The Plains of Memories” (roba da brividi lungo la schiena dal primo all’ultimo secondo), la progressiva “In a Deeper World” e l’intensa e passionale “Frostrite”, interpretata da un Vortex in forma a dir poco smagliante. Dall’altro troviamo invece le track più “canoniche”, classiche, quelle dalle quali fuoriesce l’anima black. Ed ecco che si viene letteralmente travolti dall’introduttiva “Epochalypse”, da “Roots”, dalla fiera ed imponente “Mount Regency”, viking track dotata per altro di un piglio quasi cinematografico, e dagli 8 minuti e 46 secondi di “The Winter Eclipse”. Quest’ultima in particolare è senza dubbio uno dei migliori brani mai partoriti dai Norvegesi, tanto è carica di pàthos. Le aperture melodiche sono da togliere il fiato e, soprattutto, Vintersorg sfodera una prestazione vocale da antologia: la sua voce è tanto perfetta nello scream quanto nel pulito, riportando alla mente i bei tempi di “Cosmic Genesis”.
Vogliamo spendere due parole sui suoni? Beh, di alta qualità anche loro. I volumi sono calibrati con cura certosina, in modo tale da dare il giusto risalto a ciascuno strumento. Chitarre, basso, tastiere e batteria hanno lo spazio adeguato per emergere, senza mai sovrastarsi l’un l’altro.
Il missaggio ad opera di Jens Bogren (già all’opera con i Katatonia in “The Great Cold Distance”) è anch’esso di un livello superiore.
Ciliegina sulla torta, la bella copertina scelta dell’artista brasiliano Marcelo Vasco, che ha già firmato artwork per artisti quali Belphegor, Keep of Kalessin e Ov Hell. La cover rappresenta l’incisione su legno di un’antica statua norvegese dell’epoca vichinga. Per di più la versione speciale presenta un paking cartaceo davvero gustoso, corredato dal classico libretto ricco di informazioni e contenente le foto della band e i testi.
Proprio riguardo a questi ultimi, i Borknagar proseguono il percorso iniziato con “Empiricism”. Troviamo liriche che trattano del rapporto tra natura e uomo, altre che narrano di catastrofi naturali (che per altro hanno anche un retrogusto fantascientifico). A differenza degli ultimi lavori, in “Urd” i sei tornano a parlare anche di temi più cari al Viking come potrete notare leggendo i testi di “The Earthling” e di “Mount Regency”.
Non c’è altro da aggiungere. I Borknagar tornano a sedere sul trono dell’intera scena avantgarde. Un disco come questo dovrebbe servire da esempio ai mille mestieranti che infestano l’intero panorama musicale senza dire niente di nuovo.
“Urd” è un album che, senza voler esagerare, può e vuole competere a testa alta con capolavori come “Empiricism” e “Borknagar”. “Urd” è un album capace di attirare verso di sé tutte le attenzioni del caso, perché segna la rinascita artistica di una delle band storiche del panorama estremo. “Urd”, in definitiva, è un grande album…e, specialmente in questi tempi di magra, scusate se è poco.
Emanuele Calderone
Tracklist:
01- Epochalypse
02- Roots
03- The Beauty of Dead Cities
04- The Earthling
05- The Plains of Memories
06- Mount Regency
07- Frostrite
08- In Winter Eclipse
09- In a Deeper World
10- Age of Creation -presente sulla limited edition-
11- My Friend of Misery (Metallica cover) -presente sulla limited edition-
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