Recensione: Uroborocidal Undoctrination
Eureka! No, stavolta non è un’esclamazione, bensì il luogo di provenienza del quintetto statunitense dei Miasmic. Attivi dal 2006 e ancora sorprendentemente senza etichetta, i nostri sono giunti al quarto album, alzando il livello compositivo di un black metal che riesce a far convivere una tetra atmosfera con quel putridume vecchia scuola che viene spesso perso per strada quando si dispone di produzioni di certo più cristalline di quelle di questo Uroborocidal Undoctrination. Non che ci importi, anzi uno dei punti di forza di questo nuovo capitolo nella discografia dei Miasmic è proprio quella sensazione di underground che si respira dalla prima all’ultima traccia, dove ogni singolo brano viene valorizzato da un lavoro d’ensemble tecnicamente lodevole, da chitarre che non si limitano a massacrare le corde, ma che delineano con impeccabile perizia parti malinconiche e altre più intenzionalmente violente.
La sezione ritmica svolge il suo sporco lavoro e tra doppia cassa, immancabili blast beats e un basso che sigilla la profondità di un sound grezzo che posiziona l’album tra le uscite black metal più interessanti e meno scontate di questo 2021, è la voce di Lycanthromancer che si mette sugli scudi, immolandosi mentre ci guida lungo i 50 minuti di Uroborocidal Undoctrination. E se pensate che il titolo sia uno scioglilingua, provate a immaginare il fonico alle prese con il batterista Itztlacoliuhqui-Ixquimilli. Sapersi distinguere, in un panorama sempre più affollato e dove la violenza fine a se stessa non scuote più gli animi come qualche decennio fa vuol dire anche trovare la giusta ispirazione per costruire un disco compatto, coeso e capace di tenervi le cuffie incollate alle orecchie dall’inizio alla fine. Consigliato. E parecchio.