Recensione: Usual Tragedy
Nome nuovo questo dei Karelia, band transalpina dedita a un power metal veloce e sinfonico sulla scia dei connazionali Heavenly e dei nostrani Rhapsody. Il rischio di scadere nel “già sentito” in questi casi è davvero alto, ma per fortuna questi cinque alfieri di casa Drakkar danno prova di una certa maturità artistica, sfornando un dischetto a tratti davvero frizzante ed esplosivo. Nota di merito anche per le liriche che si basano su di un semplice ma ben realizzato concept, il quale tratta della tragica esistenza di un uomo in bilico fra le due grandi guerre. Come dice la sintesi iniziale, questa storia rappresenta la lenta, ma inesorabile discesa del protagonista verso l’inferno, alleviata da pochi effimeri momenti di gioia. Una definizione che ben si sposa non solo con il concept, ma con tante vite realmente vissute in quegli anni difficili e perché no, anche ai giorni nostri. Dal punto di vista musicale risulta quindi logica la scelta di utilizzare atmosfere spesso cupe ed oscure intervallate da episodi più ariosi e positivi, nei quali comunque rimane sempre una velata malinconia di fondo. Ogni brano di “Usual Tragedy” vive di luce propria e gli sforzi compositivi dei Karelia risultano veramente apprezzabili perché mai orientati al virtuosismo fine a se stesso. Lo stile che ne risulta è piuttosto personale e si discosta dalla grande famiglia power-metallara degli ultimi tempi. A questo contribuisce in maniera decisiva il particolare uso della voce di Matthieu Kleiber che varia con cambi repentini da toni gravi e profondi ad altri decisamente più acuti ed in linea con il genere proposto. A essere sincero i numerosi inserti di voce “bassa” non mi convincono molto, forse anche per l’eccessiva teatralità dell’interpretazione, mentre invece il singer mi sembra molto più a suo agio nelle parti “lanciate” in cui sfoggia buona tecnica ed una bella timbrica. I brani viaggiano spesso e volentieri in doppia cassa, senza per questo diventare monotoni; gli stacchi orchestrali e corali sono infatti frequenti e ben calibrati ed anche le melodie portanti risultano spesso azzeccate ed originali.
Si comincia con un’intro di grande pathos, ideale rampa di lancio per “Letter For An Angel”, vera mazzata di symphonyc speed metal, dotata di un tiro eccezionale e di un refrain meraviglioso! I Karelia qui giocano parecchio con i tempi e si passa con grande disinvoltura da ritmiche serrate e trituranti ad altre più cadenzate e maestose. La successiva “Torn Dress” prosegue il discorso dell’opener, ma stavolta il sound è meno aggressivo, le atmosfere più pesanti e si comincia ad entrare in sintonia col difficile cammino del protagonista. Cammino che si fa sempre più arduo nella title track, in cui egli si trova solo ed in balia di un destino avverso contro cui nulla può. In questo caso il metronomo cala notevolmente i propri battiti per dare maggior enfasi alla sofferenza imperante. La traccia numero cinque, dal titolo “Deserter” sfoggia un songwriting invidiabile e, dopo un triste prologo, spazia verso lidi di speranza, sottolineando il ripudio totale dell’uomo verso la guerra, portatrice di odio e morte, e la sua fuga verso un’illlusoria libertà. Questa song è la più lunga dell’album, quasi 8 minuti, ben orchestrati e godibili, in cui spicca un bellissimo ed arioso chorus che nel finale prende velocità prima di cedere il passo alla conclusiva sezione d’archi che richiama alla memoria la storica intro di “Ring Of Steel” dei Nocturnal Rites. “Blind” è un up-tempo variegato e di buona fattura che mette ancora una volta in evidenza le qualità compositive di Bertrand Maillot, tastierista del gruppo, e del già citato singer Matthieu Kleiber, menti di questo ambizioso progetto. “Called Up” è la prima e unica vera ballad dell’album. Nostalgici violini accompagnano la voce cupa e malinconica del cantante che esprime al meglio lo sconforto del protagonista, “costretto” a lasciare la propria amata per la chiamata alle armi. Si torna a viaggiare in doppia cassa con “Daddy’s Grave”, ottima prova velocistica dei nostri, che, senza mai strafare, confezionano una bella speed-track dal refrain orecchiabile e trascinante. Davvero possente il supporto corale ad ogni brano che dona quel tocco di classe in più al sound dei Karelia. La penultima traccia intitolata “My Guilty Absence” mostra la definitiva resa di questo soldato davanti all’orribile visione della propria amata morta in sua assenza. Si rende conto che tutto quello per cui aveva combattuto fino a quel momento, che ogni sua speranza, ogni suo obiettivo, erano stati spazzati via dalla crudeltà della guerra e dalle sue scelte sbagliate. Pezzo slow molto triste ed oscuro in cui la parte musicale ben si adatta alla direzione suggerita dal testo. Il cd si chiude con “Slave Of Time”, capitolo finale di questo racconto in cui il nostro uomo, sconfitto dalla vita, passa l’ultimo spezzone della sua esistenza solo ed abbandonato ai suoi mille rimpianti. Le sonorità più classiche e speedy vengono qui riprese ed un bellissimo giro di tastiera regge il gioco al mood tagliente e raffinato di un pezzo che esemplifica al meglio le grandi potenzialità dei Karelia.
Sicuramente parliamo di una bella realtà da prendere seriamente in considerazione per il futuro, ma anche per il presente. “Usual Tragedy” è infatti un validissimo album di symphonyc speed metal, premiato peraltro da un’eccellente produzione e da un songwriting fresco e convincente. Uniche pecche di questo bell’esordio possono essere trovate nel guitar-sound, forse un pelo meno corposo di quanto dovrebbe, e nelle poco digeribili interpretazioni da tenore del singer Kleiber, che, al contrario, quanto canta normalmente risulta essere assolutamente gradevole e ben inserito nel contesto strumentale. L’artwork non fa gridare al miracolo ma comunque piace per i colori caldi e la copertina ben realizzata. Acquisto superconsigliato ad ogni powerhead che si rispetti.
Tracklist:
1. Intro
2. Letter For An Angel
3. Torn Dress
4. Usual Tragedy
5. Deseater
6. Blind
7. Called Up
8. Daddy’s Grave
9. My Guilty Absence
10. Slave Of Time