Recensione: Usurpation Of The Seven

Di Manuele Marconi - 19 Dicembre 2020 - 15:42
Usurpation Of The Seven
73

Dalle Fiandre, in Belgio, vengono cinque alchimisti; esperti nell’arte di mescolare e plasmare miscele blasfeme ed incancrenite, pronte a ghermire gli apparati uditivi di chiunque dia loro ascolto. L’iconografia alla base del progetto, quella volontà di instillare nelle vene di chi ascolta il veleno che scorre nelle arterie degli inferi, è molto suggestiva, e da questa partono gli Ars Veneficium nella creazione della loro seconda fatica: “Usurpation Of The Seven”. L’album divide i suoi 38 minuti di durata lungo un percorso di nove brani, rimanendo coerente con la struttura del precedente full lenght uscito nel 2016.

Dopo un’intro un po’ banalotta e forse poco indicata (per ciò che sarà poi l’album) l’ascoltatore viene travolto in pieno da “Wrath of Life”: pezzo solido con un ottimo tiro ed un bel riff portante. Molto buona la commistione fra i vari elementi sonori che lo compongono, che evita sovrapposizioni squilibrate fra di essi e dona al contempo organicità e pienezza all’ascolto. Molto bello l’assolo di chitarra, inaspettato e su tonalità più alte rispetto alla traccia di chitarre del resto del brano, che ne evidenza ancor di più la presenza e il suo impatto folgorante all’interno di esso, come un fulmine che colpisce all’improvviso chi ascolta.

In the Fires of Eternity” presenta una batteria furiosa, che apre con una bella rullata e continua per tutto il brano a farla da protagonista: sembra più la chitarra a fare da base ritmica per la batteria. All’incirca a metà brano i ruoli si invertono, variazione molto gradita ed ispirata con addirittura doppie chitarre a sostenere ritmi meno forsennati ma più incalzanti. L’ascolto regala la sensazione di un brano molto vario, probabilmente il migliore del lotto. Si conclude in crescendo, nuovamente su ritmi rapidi, con un bel mini-solo di chitarra a cucire il tutto.

Under the Wings of Beautiful Darkness”, anticipata da un buon intermezzo strumentale, risulta essere un brano più di atmosfera. Non tanto per i ritmi, quanto per l’ispirazione delle melodie al suo interno. Assolutamente rimarchevole l’apertura della decelerazione del brano da parte di Norgameus, che dietro le pelli sale in cattedra per buona parte dell’album. Ottimo basso, importante e presente, sempre a contrasto con la sei corde.

Ci troviamo davanti ad un lavoro ben fatto: la produzione risulta nel complesso buona, permettendo l’ascolto del disco senza scivoloni acustici e regalando sempre suoni fedeli e ricchi. Il complesso Belga ci ha regalato una tossina che forse non colpirà il cuore dell’ascoltatore in modo letale, ma sicuramente gli regalerà 38 minuti di sadica agonia.

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