Recensione: Ut Humanitatem Caedant

Di Yuri Fronteddu - 4 Marzo 2015 - 9:30
Ut Humanitatem Caedant
Band: Rexor
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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73

Un’altra epopea di richiami al latino e al greco, detersa in un nuovo ed evoluto black metal, quella dei fiorentini Rexor. Formati ormai al nero insegnamento del più oscuro dei generi del metal, il gruppo sforna questo inaspettato “Ut Humanitatem Caedant”, il loro secondo full-length; uscito in Italia presso Metallic Media e distribuito all’estero da Eastern Voice e Black Candles Records.
Ma com’è strutturato il disco?

Si inizia dall’intro “Requiem”, un estratto d’opera classica, inserita come elemento di sorpresa e di contrasto con l’avventatezza della successiva traccia. In “Demigoron”, prima canzone, nonché traccia scelta per la promozione dell’album, i fiorentini mettono in chiaro di che pasta siano fatti e, soprattutto, l’evoluzione che li ha portati fino a questo punto, combinando una ritmica “raw black” ad un riffing ben composto, sopra a cui il tipico e riconoscibile growl di Maurizio Hate” ne ritocca i contenuti.
E’ proprio a partire da questo brano che la differenza con le prime release si sente e come! Un miglioramento specialmente va notato nella tecnica chitarristica, perfezionata al minimo dettaglio e in ogni estratto della traccia, con particolare attenzione al suo esordio, dove Davide Asmodeus” (Sofisticator, Sulfur) e GionataStorm” (Drugaddicted) ne “specificano” i termini rallentando il tempo delle note suonate.
Dalla successiva, “Vermis Christi Miserationem Invocat”, lo standard del loro black metal converge su “terre più pianeggianti” e meno ricercate, propinando due tracce costituite da ritmiche e riffing più sostenuti, nonché mid tempos, approssimativamente sullo stile di “Ain”, ma senza toccarne direttamente il territorio. In “Mentis Error Maleficium”, quinta traccia uscita come secondo singolo promozionale, la più lunga dell’album, i Rexor sorprendono nuovamente l’ascoltatore, portandolo ad avvertire un black metal ancora più tranquillo e più fornito di mid-tempos. L’introduzione è più studiata delle precedenti quattro, con dissolvenza in entrata di chitarra e sussurri di caricamento iniziali di “Hate”. Essa determina il centro di tutto l’album, come se ne iniziasse una seconda parte, costituita dalla ricerca di nuovi modelli, non ancora sperimentati in casa Rexor.
Così è, infatti, in cui spiccano “Hiems in Aeternum” e “Ut Humanitatem Caedant” che ricordano molto il doom black. Postludio finale simile al preludio, in quanto sempre d’opera e significativo dell’album, in quanto fa capire l’intenzione di una nuova evoluzione in serbo dal gruppo.

La riuscita del disco è formidabile. I fiorentini riescono a dimostrare al loro pubblico elitario di che cosa siano capaci e fin quanto possano spingersi pur di stupirlo. Interessante la manipolazione sperimentale di doom e “raw” black, capace di sconvolgere le basi di “Ain” e “Nox Obscura Sortis” – nonché dei vari demo “Infinite Vis Obscuritas” e “Infernum Dominium”. Forse, la scelta dell’opera per i due estremi dell’album è un po’ troppo azzardata come idea simbolica della “nuova evoluzione”, ma non ne sconvolge strutturalmente la produzione. Qualche verso un po’ macchinoso e pesante nella composizione di alcune tracce, come “Mentis Error Maleficium”, compare di tanto in tanto a contornare l’ascolto, ma trattasi solo della solita prassi con la targhetta “black metal”, tipica dello stile e presente persino in capisaldi del genere, come Nargaroth, Beherit o Darkthrone. Non mancheranno nuove future sorprese in casa Rexor, le cui intenzioni sono quelle di continuare il loro inarrestabile viaggio musicale underground, partorendo nuove idee, abbozzi e ulteriori perfezionamenti dei vari elementi compositivi.

Yuri Fronteddu

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