Recensione: Uten n​å​digst formildelse

Di Manuele Marconi - 15 Giugno 2023 - 11:05
Uten nådigst formildelse
Band: Ekrom
Genere: Black 
Anno: 2023
Nazione:
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60

Molto spesso rimaniamo ingenuamente (nel senso genuino del termine) attirati o richiamati da realtà musicali provenienti da Paesi specifici, magari per vissuto personale, per legami con certe culture o per la storia di queste culture. Inutile far finta di nulla: quando si parla di black metal e il materiale a disposizione proviene dai paesi nordici da cui esso è nato c’è sempre un pizzico di curiosità in più, ed è anche normale che sia così. Come è anche giusto e prevedibile che le band che da quei lidi provengono ci giochino un po’ su questo “privilegio”, usandolo un po’ come mossa di marketing gratuita. L’approccio iniziale però per quanto a livello commerciale sia importante per accalappiare il consumatore, non è però abbastanza da solo per fidelizzarlo: nell’esigente mondo del metal, che per fortuna è rimasto  – nella maggior parte dei casi – attaccato ad una forma mentis meno superficiale rispetto alla musica usa e getta di oggi, questo concetto per fortuna rimane, a prescindere dai gusti di ognuno. Proprio pensando a questo oggi andiamo ad analizzare il lavoro dei norvegesi Ekrom, duo che esordisce con il primo full length “Uten n​å​digst formildelse”, dopo il canonico EP di riscaldamento del 2022.

Potremmo dire che le cartucce migliori vengono sparate praticamente subito. Il disco parte infatti abbastanza bene, con l’opener “Bell witch” e la seguente “The black flame of Seth” che fanno ben sperare: la prima diretta, potente e senza fronzoli, la seconda con momenti più rilassati alternati a blast beat, con in generale un buon riffing a sorreggere il tutto. Da qui in poi si precipita mestamente ed in maniera inesorabile in un vortice di piattume sonoro abbastanza deprimente. Brani lenti, noiosi e abbastanza monotoni rendono l’ascolto non propriamente semplice. Spesso si tenta di dare personalità ad un suono essenzialmente scialbo, tramite qualche tastiera ogni tanto, accelerazioni sporadiche, ma nulla che riesca a svegliare l’ascoltatore dal suo torpore assopente. Peccato perché le premesse sembravano più che buone.

Cosa rimane dunque di questo album?

Sicuramente qualcosa a cui aggrapparsi c’è: non si parla di una catastrofe, considerando anche il fatto che si sta parlando di un esordio su disco. Sicuramente però per le prossime uscite sarà necessario uno sforzo ulteriore per distinguersi.

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