Recensione: V
In pieno clima di recuperi eccellenti (o comunque interessanti), trovano spazio per un gradito ritorno anche i danesi Fate, scomparsi dal radar ben sedici anni fa ed ora nuovamente in pista con un cd dal titolo emblematico, “V”, cinque, come gli album sin qui prodotti.
Recentemente riscoperti tramite due ristampe ad opera della MTM classix (A Matter Of Attitude, originariamente del 1986 e Scratch and Sniff, del 1990) la band nordeuropea denota sin dal primo impatto alcuni particolari che meritano una breve segnalazione.
Anzitutto, ben poco sembra essere rimasto dei Fate attivi sino al 1990: i soli Peter Steincke al basso (presente sin dagli esordi) e Per Johansson dietro al microfono (attivo solo nell’ultimo periodo prima del temporaneo scioglimento) risultano essere gli elementi in grado di garantire continuità al gruppo; in secondo luogo, va riportato un differente approccio in merito all’aspetto prettamente musicale che, a partire dalla voce, per finire al tipo di proposta (un hard rock “metallico” piuttosto atipico e nervoso, non privo di una certa teatralità), appare completamente rivoluzionato e per nulla affine con la produzione ottantiana dei nostri, al punto da far sorgere concreti dubbi sull’opportunità di presentarsi con il vecchio monicker, piuttosto che, più coerentemente, con un appellativo completamente diverso e nuovo, in grado di distanziarsi dalla identità trascorsa ormai non più attuale.
Fatte queste dovute precisazioni, è in ogni caso da sottolineare come la ragguardevole capacità della band di intrattenere i propri ascoltatori non sia affatto venuta meno: l’hard rock che scaturisce dalle undici tracce in scaletta, sebbene sensibilmente diverso da quanto proposto in passato, è in effetti piacevole e rivela, dopo successivi ed attenti ascolti, sfaccettature che lasciano intravedere una cura sopraffina dei particolari ed una più che encomiabile originalità nella composizione dei pezzi; molto insolito inoltre lo stile del singer Per Johansson, così veemente e ruvido, in alcune parti quasi esasperato, si rivela essere carattere distintivo primario, in grado di rendersi alquanto riconoscibile ma al contempo rappresentando anche un eventuale limite alle orecchie di chi non ritiene particolarmente apprezzabile uno tale stile interpretativo, piuttosto inusuale e fuori dagli schemi.
Buon lavoro viene svolto dal chitarrista Søren Hoff, chiamato a disseminare un serie di ottimi riffs in tutti i brani grazie ad un suono potente, quadrato e “down tuned”, in grado di conferire un sapore vagamente modernista alle composizioni; molto interessanti sono inoltre le atmosfere, come detto a volte piuttosto teatrali, che si incontrano via via lungo il cd. Gli inserti di tastiera, che costituiscono un sottofondo costante e molto particolare, esaltano ad un livello ancora maggiore le caratteristiche di originalità delle canzoni, che così appaiono inserite in un ambiente dalle radici HR da cui evolvono per raggiungere situazioni molto più personali e progressive.
Permangono il gusto per i cori robusti ed ampi ed una notevole attenzione per i suoni che, grazie alla buona opera di un professionista affermato quale Tommy Hansen
si rivelano sempre curatissimi, ben definiti e mai piatti.
Un lavoro interessante senza dubbio, diverso dal solito e proprio per questo meritevole di una discreta attenzione; chi avesse conosciuto i Fate nelle loro precedenti avventure resterà forse un po’ spiazzato, tuttavia è innegabile la capacità di un disco come questo di catturare l’attenzione e di invogliare a successivi ascolti. Si denotano una raffinatezza ed una cura non comuni oltre ad uno stile originale e non inseribile in schemi preconfezionati.
Il limite maggiore è forse riscontrabile nella “pesantezza” che può derivare da una tale ridondanza di arrangiamenti oltre al già sottolineato approccio vocale, aspetti che potrebbero far risultare “V” indigesto e poco “fluido”, ma in ogni caso va messo in evidenza il buon valore che il cd sostanzialmente possiede ed il desiderio, facilmente intuibile, di creare qualcosa di leggermente nuovo frequentando territori meno praticati e diversi da quanto solitamente sentito in un ambito tradizionalmente conservatore come l’hard rock.
Da ascoltare.