Recensione: V
Ci sono band atipiche nel panorama musicale, band che vanno controcorrente rispetto alle regole del music business e, talvolta, anche rispetto alle proprie. Uno di questi gruppi è certamente quello che prende il nome di Karma To Burn. Autori di tre dischi strumentali ed uno cantato (le pressioni della casa discografica giocarono un ruolo fondamentale nella scelta di inserire in formazione un cantante), i tre musicisti hanno sempre portato avanti un discorso musicale influenzato dallo stoner e da un certo modo di intendere il doom e lo sludge in generale, virandolo spesso e volentieri sull’hard rock desertico.
Pesanti, mastodontici ed ipnotici, i Karma To Burn arrivano oggi alla loro quinta release dal semplice titolo V. Il sound del deserto accompagna ancora una volta il trio che, con una mossa a sorpresa, rilascia un disco che si divide tra porzioni strumentali (5 brani su 8) e pezzi cantati (i restanti 3). Naturalmente il tutto è filtrato attraverso l’ottica distorta della chitarra di William Mecum e scandito dal basso pulsante di Rich Mullin, coadiuvato da Rob Oswald dietro le pelli a completare la sezione ritmica.
Per ciò che concerne i brani strumentali, viene proseguita la tradizione di intitolarli semplicemente con dei numeri, quindi ci troviamo a fare i conti con numeri che vanno da 47 a 51, i cui estremi (rispettivamente posizionati in apertura ed al sesto posto lungo la tracklist) rappresentano i momenti migliori. In effetti 47 è forse il pezzo più “accessibile” dell’intero lotto, mentre un incedere più ipnotico e variegato si può riscontrare nella successiva 50. Emerge selvaggiamente lo stoner invece in occasione di 48 e 49, brani ancorati alle radici rock del combo statunitense.
Il lato più fortemente psichedelico è rappresentato dai brani cantati, i quali, grazie proprio alla voce di Daniel Davies (figlio di Dave Davies dei The Kinks e già in forza con gli Year Long Disaster) che, opportunamente filtrata da alcuni effetti, mette in risalto la componente più criptica dei Karma To Burn. The Cynics e, soprattutto, Jimmy Dean sono due pezzi che mostrano il fascino del “malternative”, termine coniato dal gruppo stesso per descrivere la propria musica.
V si chiude poi con Never Say Die!, cover dei Black Sabbath classici dell’epoca Ozzy/Iommi/Butler/Ward, riletta in maniera abbastanza fedele all’originale grazie anche alla voce di Davies, in tutto e per tutto somigliante a quella dell’Osbourne dei tempi d’oro.
Nelle considerazioni finali va tenuto conto di una proposta sui generis come quella dei Karma To Burn, i quali, mai paghi di sperimentazioni ci regalano un disco decisamente più pesante rispetto al suo predecessore. L’approccio più cupo delle canzoni di V porta con sé una maggiore complessità di fondo ed una perdita di accessibilità, ma di contraltare va detto che il dinamismo e la varietà delle composizioni ne guadagna parecchio.
Il quinto disco in studio dei Karma To Burn è quindi un’evoluzione del discorso affrontato dalle precedenti uscite e, pur rimanendo ancorato fedelmente alle proprie origini, cerca di esplorare territori leggermente differenti con il solito piglio tipico della formazione americana. Un buon ritorno che ritrova la band in ottima forma dopo la reunion avvenuta poco prima del precedente e più “rockeggiante” Appalachian Incantation.
Andrea Rodella
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Tracklist:
1 – 47
2 – 50
3 – 48
4 – The Cynic
5 – 49
6 – 51
7 – Jimmy Dean
8 – Never Say Die! (Black Sabbath Cover)
Durata: 38:41 min.
Lineup:
William Mecum – Guitar
Rich Mullins – Bass
Rob Oswald – Drums
Daniel Davies – Vocals