Recensione: V. O. R. – Voice Of Rebellion Part 1
Con l’avvento delle nuove tecnologie e con tutto quello posto a loro corollario, di certo si evidenzia una certa facilità nel produrre forme artistiche di qualsiasi natura con la conseguenza di poterle poi diffondere attraverso i vari canali con la medesima velocità. Tutto questo ha permesso a tanti artisti meritevoli di creare un proprio prodotto e metterlo in circolazione dandosi delle possibilità che prima erano evidentemente soltanto sognate. Tutto questo però, ovviamente, ha un’altra faccia della medaglia, una brutta faccia, cioè quella relativa al rischio di ciò che si può pescare lanciando una rete in questo mare mugnum di produzioni artistiche, musicali ecc…
Sovente questo rischio lo si corre, e anche in maniera molto marcata, così come, molto spesso, ci si imbatte in artisti, nel nostro caso musicisti, che, al netto di tutto, hanno il merito di credere fortemente in quello che fanno, non curandosi “di tutto ciò che gira intorno”. Questo è il merito di Gabriele Bellini alle prese con la sua nuova e ultima fatica musicale intitolata V. O. R. – Voice Of Rebellion Part 1, il primo capitolo contenente una prima selezione (il che fa capire che ce ne sarà una seconda) di brani presi dal suo ultimo album solista Rebellion Party e riarrangiati e cantati da sette cantanti differenti. Bellini comunque ha anche il merito di voler esplorare gli infiniti ambiti della musica e questo merito lo persegue così fortemente al punto che, purtroppo, gli si ritorce contro perché, nella encomiabile volontà di essere vario e variegato, sovente perde di identità e questo porta ad ascoltare dei brani che si sviluppano con poca logica, ma forgiati per mero esercizio di stile e dimostrativo.
L’idea progettuale di Bellini, interessante e stimolante, in realtà doveva, probabilmente, virare su un progetto totalmente nuovo, perché il concetto del riarrangiamento ha spinto la sua abilità alla ricerca di qualcosa difficile da trovare, qualcosa così particolare che probabilmente non esiste.
In questo solco si inserisce, per esempio, il brano Evo-Revolution, dove la musica Techno, probabilmente fuori contesto, incontra un cantato non proprio brillante e con un testo che ricorda i cartoni giapponesi.
Avere del tempo per pubblicare non significa dovere necessariamente pubblicare; talvolta basta avere pazienza, aspettare e far uscire un prodotto nuovo, ma più ricercato, dove la vena ispirativa non deve inserirsi in qualcosa che è stato già ispirato e quindi nel tentativo di rendere somigliante, ma diverso, diverso, ma somigliante qualcosa già suonato. Fenomeno questo presente anche in una certa letteratura che poi è divenuta mainstream più per l’alta frequenza delle pubblicazioni che per reali meriti letterari.
Ascoltando il disco Freely dà il via alle danze (al microfono c’è Marta Giurintano, con un timbro molto simil “Phantom Blue”) e a dirla tutta rappresenta un inizio atipico per un disco di un chitarrista solista, di solito una figura abituata a “far parlare di sé” già dalle prime note. Il brano è quasi una ballad, ma che in effetti ha un suo perché come opener e risulterà, per chi scrive, forse il brano più interessante e fresco di tutto il platter. Esperimento riuscito dunque quello di non partire come di solito al fulmicotone.
Mid tempo anche per No Fears, con un intro frastagliato dai tom e con alla voce Francesco “Gago” Lamonaca. Decisamente indovinata la scelta di Bellini di affiancare dei veri singer, in modo da potersi concentrare prettamente sui riff e sulle parti soliste.
Omnibus ha un intro più “Soundgarden style”. Lorenzo “Bug” Meoni ha il compito di far risaltare vocalmente la rabbia e la potenza, almeno ideologica, di questa song. Il chorus è godibile e crea un forte distacco rispetto al resto.
Intro un po’ confusa per 7 Days “LuMaMeGiVeSaDo”, che in realtà si traduce in un intermezzo piuttosto sterile che strizza l’occhio al mondo country (almeno nella seconda parte), ma che risulta carente nella sua struttura e soprattutto nell’esposizione. Non proprio tra gli episodi più felici, soprattutto in relazione con quanto ascoltato fino ad ora.
Differenti mondi musicali e più coerenti per Rebellion Party. Alla voce c’è Giacomo “Jac” Salani, ovvero colui che si è occupato delle registrazioni, editing, missaggio e masterizzazione di questo V. O. R. – Voice Of Rebellion Part 1. Il riff iniziale sembra davvero convincente e vi è la conferma dal fatto che la scelta dei cantanti è stata davvero l’arma vincente per risollevare il tutto. Qui, nello specifico, abbiamo più cambi di registro e più dinamica. Il solo di Bellini parte in maniera molto ispirata nella sua semplicità, perdendosi un po’ nel finale. Quest’ultimo si muove in ambienti hard rock tranquilli e oseremo dire di comfort, lasciando quella sensazione di “suonare per il puro piacere di farlo” (e come dargli torto?) senza spingersi troppo oltre. Purtroppo però la chiusura è tra le peggiori dell’intero disco.
Next Colors è rabbiosa e si gioca sulle ottave per quanto riguarda l’intro. Alessandro Marchetti dietro al microfono fa il suo dovere, ma si comincia ad avere una sensazione di “instabilità” con tutte le voci coinvolte nel dare il proprio contributo. Ovviamente non certo per la mancanza di doti vocali, anzi le voci sono interessanti e meritevoli di lodi. Ogni arrangiamento dà risalto a un timbro vocale particolare (proprio come deve essere), ma qui abbiamo forse un numero troppo elevato di interpreti e di conseguenza un altrettanto numero elevato di modi di intendere il sound di Bellini.
Questo porta a perdere quell’effetto rock diretto man mano che si va avanti con l’ascolto.
Ballad piuttosto giù di tono per Timeless, dove ascoltiamo degli appoggi di voce impostata di Claire Briant Nesti. Altro brano che nostro malgrado conferma la completa mancanza di attenzione del nostro axeman per i finali delle sue canzoni. Un aspetto molto importante che speriamo possa essere preso più in considerazione in futuro.
E in chiusura un episodio in musica di dubbio gusto, come già scritto in apertura.
Con Evo-Revolution si chiude davvero nel peggiore dei modi un disco che di certo ha rappresentato un passo avanti rispetto allo scorso Rebellion Party, ma che poteva essere concepito ancora meglio. Intro di cassa continua, echi di chitarra simil flamenco e cori di Andrea Agresti, singer qui chiamato in causa. Una confusione di stili in un mix davvero poco riuscito. Il brano è cantato in italiano e i limiti delle lyrics sono molti. In primis vengono completamente cambiati gli accenti naturali di alcune parole (cosa che in Italia è concessa solo a Max Pezzali, forse unico detentore di questo stile cantautorale) e si ha la sensazione di essere davanti, come già scritto, ad una sigla di un cartone anni 80 con protagonisti super eroi, robot e affini. Non vi è neppure dell’ironia (o comunque non l’abbiamo colta), ma semplicemente un esperimento (ci piace chiamarlo così) poco riuscito.