Recensione: V (Praeparatus Supervivet)
Ci fu un tempo nel quale l’universo metal, volente o nolente, creò e poi elesse il suo sottogenere che avrebbe raccolto (seppur parzialmente) il testimone del metallo più classico, potente e melodico, unificando sotto un’unica bandiera quelle schiere di fan pronti alla guerra per la conservazione ed ulteriore diffusione del “verbo” e, successivamente, contro le blasfemie perpetuate da Nu Metal e Crossover vari.
Come eserciti di cavalieri, un numero sempre crescente di band, assecondate dalla spinta e condivisione del popolo, si unirono alla tenzone in valli e monti del Vecchio Continente e delle Americhe, trafiggendo nemici a suon di cavalcate epiche, refrain squarciagola, riff anthemici e tappeti di doppia cassa. All’occorrenza, supportate dall’alto da draghi lanciafiamme svolazzanti o da qualche tipo di stregoneria. Che la definizione piaccia o meno, il glorioso vessillo in testa sventolava con su scritto “Power Metal”.
Venne poi il tempo in cui questa milizia iniziò a palesare una certa ridondanza e lo stesso popolo, messo al sicuro il futuro della musica preferita, iniziò a proclamare i propri paladini fra coloro che si erano espressi nella contesa con maggior coraggio, qualità e distintività, garantendo loro lunga vita. Per tutti gli altri, l’appartenenza a tale armata non fu mai più scontata: divenne necessario dimostrare e confermare nel tempo una o più di queste attitudini.
Non hanno ancora smesso di lottare per rimanere in questa selezione gli svedesi Insania, redivivi nel 2021 grazie alla Frontiers, quando ormai in tanti li davano per impiegati al catasto di Stoccolma.
Formatisi quasi trent’anni fa coverizzando classici di Helloween, Iron Maiden, ecc. ad opera del batterista Mikko Korsbäck e dal chitarrista Henrik Juhano, hanno conosciuto una serie di avvicendamenti fino all’attuale formazione che si completa, in aggiunta allo stesso Korsbäck dietro le pelli, con Tomas Stolt (basso), Niklas Dahlin (chitarra), Ola Halén (voce), Dimitri Keiski (tastiere, cori) e Peter Östros (chitarra).
Nel frattempo, un esordio discografico nel 1999 (World of Ice) ed altri 3 album fino al 2007 (Agony – A Gift Of Life), poi una lunga pausa di 14 anni: sarà servita a rivoluzionare il sound o il songwriting? A incamerare influenze tali da offrire una proposta musicale rinnovata e divergente rispetto al passato? Niente di tutto questo, il tempo non ha minimamente scalfito il loro integralismo.
Tornano con il loro quinto album, intitolato appunto V (Praeparatus Supervivet), incavolati duri come ragazzini a cui è stato sequestrato e poi ridato l’impianto stereo, pronti a spaccare con le armi che meglio conoscono, seppur un po’ impolverate.
Già l’opener “Praeparatus Supervivet” non lascia spazio ad interpretazioni: un singolo in stile ultratipico che sembra uscito da una birra in compagnia tra Helloween e Stratovarius, che gli Insania hanno il merito di proporci con intonsa qualità esecutiva e gradevolezza all’ascolto. Resta in scia l’altro singolo “Solur”, con i suoi cambi di tempo e la prima conferma: l’ottima prestazione dietro il microfono di Halèn, che in alcune sfumature ricorda timbricamente (guarda caso) Kotipelto. Il disco procede senza intoppi tra l’intensità del lento roccioso “Prometheus Rise”, i ritornelli urlati al cielo di “Moonlight Shadows” e le ritmiche schiacciasassi di “My Revelation”, con i suoi cori pronti a scatenare il pubblico.
Ritroviamo tutti i clichè del genere anche nella martellante “We Will Rise Again”, nelle sfuriate di “Like A Rising Star”, “Blood, Tears And Agony” e “Entering Paradise”. Anche per tenere il minutaggio del lavoro non eccessivamente alto, data l’omogeneità compositiva, almeno uno di questi brani poteva essere estromesso dalla tracklist.
La successiva “Power Of The Dragonborn” risulta uno dei brani più riusciti, fra linee vocali stellari ed un portamento epico che conquista. Il lavoro si chiude con “The Last Hymn To Life”, pezzo incaricato di polverizzare gli ultimi brandelli con i suoi inseguimenti neoclassici di chitarre e tastiere, perfetto sunto di quanto ascoltato nel corso dell’intero album.
In questo V (Praeparatus Supervivet) troviamo insomma melodie facili e trascinanti, assoli mai gratuiti o stucchevoli. Ogni componente della macchina Insania compie egregiamente il suo sporco lavoro contribuendo all’impatto acustico complessivo.
Nessun narcisismo sullo strumento, nessuna sterile avanguardia nei suoni, solo muscoli e sudore votati alla causa del genere e a rivendicare il proprio ruolo e contributo per la sua longevità. Nessuna sperimentazione da chef stellato, qui si mangia in una trattoria per camionisti, di quelle con la fila fuori però.
Un album che allo stesso tempo conferma l’atavico limite di personalità degli Insania: se venti anni fa poteva essere condonato un certo songwriting palesemente derivativo, oggi che anche nel metal ne è passata di acqua sotto i ponti, è lecito pretendere una propria e definita identità, nonché maggior coraggio.
Detto questo, gli svedesi tornano con un disco per chi non ama le sorprese e vuole alimentare le sue orecchie con del power genuino, preparato come si faceva nei tempi d’oro e prodotto con la qualità odierna. Per gli accoliti del genere, rassicurante come le lasagne della mamma o la ciambella della nonna alla domenica, dopo una settimana di tramezzini transgenici.