Recensione: Vacuum
Per intuire la qualità di “Vacuum” non serve dilungarsi in un numero infinito di ascolti: basta aprirlo e concedergli pochi minuti di attenzione per ritrovarsi immersi nella sua inaspettata ricchezza, che viene esibita fin dalle primissime note.
La sorpresa proviene dalla Francia, quando nel 2008 nasce il progetto black Pensées Nocturnes grazie alla Les Acteurs de l’Ombre Production e viene inciso il disco di esordio “Vacuum”. A dirigere l’intero progetto vi è la one man band Vaerohn, che caratterizza i suoi componimenti con crude sonorità black e brani di musica classica. L’idea non è certamente nuova, tuttavia di rado il connubio metal/classica raggiunge tali vette di equilibrio, accordando alla vena neoclassica di Vaerohn di comparire in modo non eccessivo ma nemmeno marginale.
Le canzoni del polistrumentista francese si distinguono per strutture complesse ed articolate che si sviluppano sempre intorno ai 10 minuti: ciò compensa ampiamente il fatto che il numero delle tracce sia piuttosto esiguo.
Iniziare l’ascolto di quest’album significa gettarsi a capofitto in atmosfere violente in cui dominano urla straziate e dolenti, quasi come una supplica rivolta al buio. In “Lune Malade” solo la luna è testimone di tale dolore, e appare come unica fonte di conforto. Tali subitanee sensazioni non si esauriscono con la prima traccia, ma procedono fino al termine dell’album: in particolar modo per quanto riguarda le prime tre canzoni l’andamento rimane pressoché invariato, per sottolineare la continuità di una solitudine che si protrae nel tempo. Sembra quasi che non vi sia una vera e propria fine tra un pezzo e l’altro, poiché il precedente fluisce direttamente nel successivo, contribuendo a enfatizzare l’unità dell’opera.
Di certo ogni brano è caratterizzato da un pàthos che evidenzia l’abilità tecnica di Vaerohn che viene valorizzato pienamente se considerato all’interno del contesto in cui si trova, nella totalità dell’intero lavoro.
In ogni caso non tutto l’album è pervaso da sonorità strazianti, infatti ciò che determina alternanti cambiamenti di ritmo è l’inserimento di pezzi classici, suonati da violino e pianoforte. Il momento più riuscito si riscontra tra “Flore” e “Des Espoirs”, in cui dalle tenebre della disperazione si innalza un Notturno di Chopin come una velata e debole voce, non si sovrappone alla componente metal e non viene relegata al ruolo di accompagnamento. Si generano, piuttosto, due momenti distinti che non sono in aperta contrapposizione tra loro, anzi ognuno svolge la funzione di mettere in luce il valore dell’altro, ed è proprio questo il punto che evidenzia quanto sia ben realizzata la commistione tra metal e classica.
Ciò che sarebbe potuto essere un accostamento privo non solo di continuità ma anche di un forte impatto su chi ascolta, finisce per diventare il nodo nevralgico più espressivo: in questo caso maggiore è il divario tra i due generi, più sembrano completarsi. Se da una parte considerassimo separatamente il rantolo cavernoso di Vaerohn che emana furia da ogni parte, e dall’altra le impalpabili note venate di una dolce malinconia del compositore polacco, non si potrebbe pensare a nulla di più dissonante. Tuttavia non ci troviamo di fronte ad una trasposizione black di un Notturno, esso non viene strumentalizzato banalmente in chiave metal. Nulla viene tolto o aggiunto al brano, e nei pochi ma cruciali minuti di “Des Espoirs” il suono della chitarra sfuma per lasciar dominare il pianoforte.
La seconda parte dell’album diverge maggiormente ed appare meno incisiva senza raggiungere appieno il grande effetto delle prime canzoni, sebbene siano tutte ben eseguite ed interpretate.
Nonostante “Vacuum” sia un ottimo lavoro dotato di una capacità non comune di trasmettere immediate emozioni, non è esente da alcuni difetti. In primo luogo, considerando le altre tracce, l’inserimento di ritmi blues di “Coups de Bleus” appare fuori contesto con il resto dell’album e rimane un capitolo a sè stante, nettamente inferiore all’esperimento con la classica. Inoltre un’altra mancanza si può identificare nella cura non eccellente della produzione, sebbene possa considerarsi adeguata visto il genere in questione.
“Vacuum” nella sua interezza dimostra di essere un album di esordio di notevole pregio, un paradigma per il genere di black neoclassico. Esso è in grado di suscitare una grande attrattiva nella trasposizione in musica delle pulsioni più forti in un continuo incessante di suoni, per non lasciare che uno spaventoso senso di vacuum si insinui tra le note.
Chiara Rizzatti
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TRACKLIST:
1 Lune malade
2 Flore
3 Dés-espoir
4 Coup de Bleus
5 Epitaphe
6 Repas de Corbeaux