Recensione: Valfar: Ein Windir

Di Daniele Balestrieri - 22 Maggio 2005 - 0:00
Valfar: Ein Windir
Band: Windir
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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90

Correva il 17 gennaio del 2004 quando sulle alture di Reppastølen veniva ritrovato il cadavere sepolto nella neve di Terje “Valfar” Bakken, morto di ipotermia mentre tentava di tornare indietro dalla hytta di famiglia a Fagereggi. Sotto un manto bianco muore una delle band più di grande impatto nel mondo sempre più atrofizzato del black/viking norvegese, attiva da dieci anni e responsabile di lavori di alto livello come 1184 e Likferd. La musica estrema norvegese non ha nascosto il turbamento indotto da una simile tragedia, e tanti sono stati i tributi, anche solo a parole, piovuti da quasi tutti i grandi nomi scandinavi.
Il 23 agosto del 2004 venne stabilito un ultimo concerto prima dello scioglimento della band, impossibilitata a proseguire senza il suo mastermind, e il 3 settembre 2004 1200 fortunati hanno assistito a un evento spettacolare, al Rockfeller di Oslo, con il gigantesco fratello di Valfar, Vegard Bakken, alla voce dei Windir e diverse band di tributo come Finntroll, Enslaved e Mindgrinder. Sotto la spinta di questo concerto è nato l’ultimo CD della band, Valfar: Ein Windir.
Il realtà, il doppio digipak contiene una gran varietà di tracce diverse tra loro, tra cui 3 brani live, 2 canzoni inedite, 2 ri-registrazioni, 5 tributi e un best of proveniente da Sognariket, Arntor, Sòknardalr, 1184 e Likferd.

Presentato da una confezione senza colori e senza particolari cure, il primo CD si rivela una minuziosa ricerca delle parti più introspettive e significative della carriera dei Windir, rimaneggiate con il cuore di una band che senza dubbio si è spenta nel pieno della propria carriera evolutiva.

Si aprono le danze con “Stri“, intro strumentale quasi completamente sintetizzata, che gode di strumenti campionati e un feeling in realtà molto black, non tanto nelle semplici evoluzioni armoniche, ma piuttosto in quel minimalismo elettronico che odora tanto dell’ingenuità di quei Mithotyn, Einherjer o Thyrfing alle prime armi, nonché di tutte quelle band underground che hanno ben chiari gli insegnamenti del black primordiale e che tentano di raggiungerli con ogni mezzo, sfidando la tecnologia in favore dell’oscura voce dell’anima.
Altrettanto nichilista è la seguente “Stridsmann“, che mantiene una batteria decisamente sintetica ma che aggiunge al cantato di Valfar delle lunghissime parti strumentali ridondanti fino all’ossessione che però firmano esattamente lo stile viking dei Windir: violento, aggressivo, quasi brutale, ma estremamente melodico. E non parlo di quelle melodie a interruzioni brevi e improvvise come nei primi Månegarm, no, con i Windir il discorso si complica: il gusto greve di Valfar contrappone fasi melodiche molto accese, alla Falkenbach, di lunghezze anche inusuali, a fasi black/thrash furiose e senza respiro. La rarità di una band come questa risiede nel fatto che tale dicotomia musicale si sviluppa anche all’esterno.

I Windir si considerano infatti ‘guerrieri del nynorsk’, quella seconda lingua formata dai dialetti del centro-ovest della Norvegia che viene ferocemente difesa dai suoi fruitori, i quali immaginano una Norvegia che parla solamente quella lingua e non il Bokmål, lemma ufficiale derivante in buona parte dal Danese conquistatore. Questo è praticamente un unicum nel black norvegese, e infatti tutti i testi dei Windir che non sono in inglese adottano esclusivamente il Nynorsk, dal suono affascinante e leggermente più ovattato. La sanguinisità con la quale viene difeso il Nynorsk è ben visibile nel libretto e nella costoletta di Arntor, loro secondo CD ufficiale, ed è anche altrettanto percepibile nelle parti black più furenti delle loro canzoni, alle quali vengono contrapposte quelle parti melodiche che ben sposano il romanticismo allo stesso tempo innovatore e conservatore di quella frangia patriottica che affonda le sue radici nel Sogndal. La decadenza romantica Windir-style si esprime ottimamente in “Dans på Stemmehaugen“, altra traccia ritmata, scanditissima nei suoi tempi quasi eroici, straziante e malinconica, che ben si addice a quel lungo morire delle ultime tracce di 1184. C’è da esaltarsi per la presentazione modificata di “The Profound Power“, ottima traccia di black canonico, molto regolare, che si inserisce in quella corrente di Viking di scuola classica che si tinge di epico grazie a brani recitati in voce profonda, una delle canzoni migliori per gusto e figlia di un repertorio davvero di prim’ordine.

Iniziano quindi i 4 grandi tributi, e chi poteva aprire la serie se non i padri del Viking Metal moderno, gli Enslaved, che risuonano in chiave personalissima la grande “Dauden“, penultima traccia di Likferd. Lo scream maligno, le improvvise parti melodiche e l’intero set di strumenti tipico degli Enslaved riportano alla mente le evoluzioni progressiste di Isa e il rigore glaciale di Frost solo per le nostre orecchie, un evento davvero unico e impossibile da ottenere se non in questi frangenti così speciali. La stessa melodia che trascina Dauden per i suoi 5 minuti polverizza l’ascoltatore nell’ancestrale “Ending“, che i Finntroll riescono magistralmente a tramutare in una canzone che sembra saltar fuori direttamente da Jaktens Tid. Stessa intro, stesso incalzare humppah, stessa violenza e stessa goliardia nell’inneggiare quell'”heia Valfar – heia Windir” che hanno sentito come dovuto, non senza qualche passaggio ingenuamente divertente dovuto alla inusuale pronuncia norvegese di Wilska.
Si prosegue con il remix techno-trance di “Mørkets Fyrste“, un contributo irritante e trascurabile di una famosa disco-personalità di nome E-Head, probabilmente un richiamo lontano di quel Journey to the End alla fine di 1184 che però brilla di ben altra classe. Furente e caotica è la seguente “Destroy“, suonata dai Notodden All Stars, un miscuglio di artisti provenienti dagli Zyklon e dai Disiplin i cui nomi (Samoth, Trym e Cosmocrator) dovrebbero far ben pensare ai conoscitori del sacro fuoco black più progressista. Le cinque cover terminano con “Likbør“, lento interamente in voce pulita suonato da Weh, un artista molto vicino ai Windir. Una ballata quasi folk dai toni estremamente introspettivi, quasi mediterranei grazie alla chitarra classica lenta e cadenzata che trascina l’ascolto fino alle ultime tre tracce live del primo CD.

Direttamente dal concerto del 27 settembre del 2003 al Rosendal Scene di Trondheim, i Windir tirano fuori l’assaggio di un concerto che sembra essere stato davvero di prim’ordine. L’acustica leggermente imperfetta non tradisce una band in piena forma che ci offre una gran versione di “Svartasmeden og Lunnamystrollet” che si unisce senza soluzione di continuità (addirittura la traccia passa diversi secondi prima dell’inizio della canzone) a “Blodsvik“, quella che io considero la canzone più bella in assoluto della band, una scarica di adrenalina stupefacente condita da una sezione melodica possente, epica, magistralmente condotta da una band in pieno fermento dopo il release di Likferd che gli fece assaggiare la vera fama prima dell’improvvisa morte di Valfar.

Chiuso un CD dalle molteplici emozioni se ne apre un altro più canonico, che contiene estratti da Sognariket (Soge II: Framkomsten e Krigaren Si Gravferd), Sòknardalr (Sognariken Sine Krigarar e Sòknardalr), Arntor (Byrjing, Arntor, Ein Windir e Saknet), 1184 (1184 e la controversa Journey to the End) e Likferd (Martyrium, Fagning e On the Mountain of Goats). Nonostante siano state messe tutte in sequenza di produzione, dalle canzoni più vecchie a quelle più moderne, spicca una scelta che definirei di classe, ovvero quella di far concludere il secondo CD con Sòknardalr, il malinconico funerale del Sogndal che Valfar scrisse nel 1997 e chiusura più che ispirata di uno dei tributi più coinvolgenti della storia del black norvegese.

Un lavoro di classe, intimista, che sprigiona un potere accuratamente riflesso dai grandi nomi che costellano questo album. Un tributo suonato con cervello, nel quale le band non tentano di emulare i Windir ma al contrario li rendono propri, liberandoli ognuna nel proprio stile. Che vi piacciano o no i Windir, quest’album vi darà una bella lezione sul mondo del black/viking e sulla sua misteriosa arte di interiorizzare, emulare e consacrare all’eternità.

TRACKLIST:

CD1:
– Stri
– Stridsmann
– Dans På Stemmehaugen
– The Profound Power
– Dauden
– Ending
– Mørkets Fyrste
– Destroy
– Likbør
– Svartasmeden og Lundamyrstrollet
– Blodssvik

CD2:
– Soge II: Framkomsten
– Krigaren Si Gravferd
– Sognariket Sine Krigarar
– Byrjing
– Arntor, Ein Windir
– Saknet
– 1184
– Journey to the End
– Martyrium
– Fagning
– On the Mountain of Goats
– Sóknardalr

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