Recensione: Vanquish in Vengeance
Se qualcuno di voi segue attentamente la scena Death Metal, può notare che negli ultimi due-tre anni il death old school è tornato alla ribalta tra gli appassionati del metallo della morte, dove ormai il brutal e le nuove mode hanno portato il tutto a una sorta di bulimia da iper-tecnicismi, brutalità e produzioni leccate. Come ben sapete, ogni cosa arriva al collasso e richiede l’intervento della sua nemesi: una musica malata, marcia, ignorante e fottutamente oscura e senza compromessi.
Il tutto ha portato alla reunion e al successo di Asphyx e Autopsy; indovinate un po’ chi mancava all’appello dei ritorni all’album? Sì, parlo degli Incantation, la band di John McEntee, assente dal parto su lunga distanza dal 2006, anno dell’immarcescibile “Primordial Domination“; in questo quinquennio la line-up è stata cambiata e ampliata da 3 a 4 membri, con l’innesto di Alex Bouks alla chitarra e Chuck Sherwood, che sostituisce lo sfortunato Joe Lombard (scomparso l’anno scorso), mentre alla batteria troviamo il sempre fido Kyle Severn, protagonista di una prova maiuscola come al solito.
“Vanquish in Vengeance”, titolo del nuovo disco, consta di 10 tracce gestite in maniera ottimale, alternando momenti veloci e brutali ad altri lenti dal sapore sabbathiano, ormai marchio di fabbrica del combo fin dalla sua fondazione. L’opener “Invoked Infinity” mette subito in chiaro le cose: gli Incantation sono tornati per far male; la canzone in questione è un concentrato di cattiveria e brutalità vera e senza compromessi.
“Ascend Into The Eternal” e “Progeny of Tyranny” non fanno complimenti e continuano la loro opera di distruzione, con il grugnito e le urla di John McEntee a guidare la battaglia; eh sì, se non ve ne siete accorti siamo in battaglia: il titolo della title-track è un chiaro riferimento al massacro dei Sassoni avvenuto per ordine di Carlo Magno, mentre il disco cita l’intera carriera della band e le battaglie che ha dovuto affrontare durante gli anni.
Dopo le tre cannonate si giunge a una traccia dalla struttura doom. “Trascend Into Absolute Dissolution” è un brano lento e soffocante che si distacca totalmente da quanto sentito fino ad ora.
Ormai il disegno è chiaro: riempire di severe mazzate l’ascoltatore e poi lasciarlo “”respirare” (ma sempre con il cappio al collo) con pezzi dall’incedere pachidermico e stritolante, come la traccia numero 8, “Profound Loathing”, introdotta da un giro di basso stordente. Vedrete, durante la notte, come continuerete a ripetere:
«A homeland lost
A terroristic holocaust»
Il massacro è senza controllo e intanto “The Hellions Genesis” e “From Hollow Sands” martoriano il malcapitato dandogli gli ultimi mortali colpi. Mentre la morte incombe, si viene introdotti alla terrificante e ammorbante “Legion of Dis”: 11 minuti dilatati fino al parossismo, duranti i quali John diventa cantore di morte e di atrocità assortite, accompagnandoci in questa lunga e lenta litania fino ad indurci a chiedere pietà. Un brano quasi insostenibile nella sua monoliticità, degna chiusura di questo album.
Siamo arrivati alla fine e abbiamo capito che gli Incantation fanno da molti anni il loro sporco lavoro, ma sempre con grande umiltà, cuore e passione, cosa che in molti, in questo genere, hanno dimenticato. Gli Incantation sono come quei supereroi che ci proteggono da ogni male nonostante non siamo nemmeno a conoscenza della loro esistenza.
Tracklist:
1)Invoked Infinity
2)Ascend Into The Eternal
3)Progeny Of Tyranny
4)Trascend Into Absolute Dissolution
5)Haruspex
6)Vanquish In Vengeance
7)Profound Loathing
8)The Hellions Genesis
9)From Hollow Sands
10)Legion Of Dis
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