Recensione: Vansinnesvisor
Oh, How beautiful…
The Raven’s Flight
Above the Battlefield
And the Sword Chills
A Human Heart…
È giunta l’ora di raccogliere ciò che è stato seminato dai Thyrfing nella loro quarta release ufficiale: pur essendo uscito alla fine del 2002, quest’ultimo album ha avuto una genesi particolare e un problema di distribuzione abbastanza grave che ne ha ritardato, interrotto e in seguito ripreso la diffusione in alcune parti d’Europa. Anche io purtroppo sono rimasto vittima di questa interruzione, e ho avuto modo di recuperarlo con oltre tre mesi di ritardo sull’uscita ufficiale. Un ritardo che mi ha riempito di interrogativi e di attese, che mi hanno portato quasi sul limite della follia. Che sarebbe successo dopo quel gran lavoro di Urkraft? Già l’artwork e l’ennesimo cambio di logo lasciavano presagire un’evoluzione non indifferente… ma che fine avrà fatto la loro inconfondibile verve vichinga?
Effettivamente il CD si presenta in maniera del tutto particolare: la copertina, il libretto, l’interno del CD, sembra tutto… sbagliato. Sembra tutto malato, tutto dipinto da una mano folle, uscita dal fango, ferita dai rovi, che in un impeto di follia sbatte su carta (e su vinile) una crisi schizofrenica. Eppure è tutta una veste grafica di grande impatto e di una cura maniacale, sicuramente merito di Daniel Bergstrand e della Hammerheart, che in fatto di produzione ne capiscono a palate. E la musica? Vansinnesvisor è un enorme passo in avanti rispetto a tutta la produzione precedente. La coppia Valdr Galga – Urkraft rimane separata nettamente al centro della loro produzione, mentre faticosamente questo album strappa la maggior parte dei contatti con i vecchi Thyrfing e prende una strada differente. Non è facile da accettare per chi è stato un fan sfegatato dei Thyrfing. Gettate via le tastiere pompose e selvagge, gettate l’allegria e l’epos delle grandi tracce vichinghe, Vansinnesvisor è un mostro che cammina affondando lentamente nel fango di una palude.
Un sound assolutamente inedito, stranissimo, accoglierà le vostre orecchie in Draugs Harg, la prima canzone. Un vero frullatore di emozioni, la canzone parte con una tastiera pizzicata, finché Lindgren di punto in bianco non si getta nel mezzo come un pazzo, urlando uno screaming selvaggio, nervoso, adirato, furioso, squilibrato, veloce, velocissimo, tormentato, disarticolato, senza armonia, senza un tempo, insomma mette decisamente in soggezione al primo ascolto. Le melodie hanno pochissimo equilibrio interno, e pendono ora in un senso, ora in un altro, ora si attengono alle chitarre martellanti, ora alle tastiere quasi doom, a tratti folk, a tratti viking, mentre una voce secondaria registrata come da una radio alterna le furiose intromissioni del cantato, ora urlato, ora ringhiato. È il caos insomma, e non posso non rabbrividire di fronte a una reminiscenza di quelle sonorità nu che in questo periodo spopolano. Al termine della canzone sembrano passate delle ere geologiche, specialmente per chi si aspettava i vecchi Thyrfing, e invece sono passati nemmeno quattro minuti, e l’album inizia lentamente a incanalarsi in binari un po’ più definiti, dopo la furia iniziale. Piano piano, Lindgren ritrova un barlume di ragione, e la musica inizia a diventare più ripetitiva, più ascoltabile, più seguibile, e iniziano timidamente a farsi strada anche alcuni cori, che però non comunicano assolutamente epos, piuttosto sottolineano abbastanza apertamente questo nuovo sound più nervoso, più primitivo.
Così trascorre Digerdöden, e così giunge Världsspegeln, che inizia per la prima volta a ricordarmi quel sound malinconico che pervadeva alcune canzoni di Urkraft, e anche di Valdr Galga, come “a great man’s return”, che conteneva quelle parti urlate, disperate, che chiudevano degnamente un CD di quel calibro. Ecco che gli urli tornano in questa traccia, ma hanno un valore completamente diverso rispetto a quello che potevano avere in un album così puramente vichingo come quello. Qui è vero, si sentono i vecchi Thyrfing, ma sono dei rigurgiti melodici in mezzo alla furia della follia che incalza, e che tenta in tutti i modi di deragliare un treno come Vansinnesvisor che corre pericolosamente sui binari del proprio genere. The Voyager, la quarta track, non fa altro che confermare la sensazione di disagio che si prova ascoltando questo lavoro: è follia la voce, una canzone che sembra provenire dalla cella di isolamento di un manicomio, cantata senza percezione della realtà, e da ascoltatore è difficile capire se è il momento di disperare o il momento di cambiare testa d’ascolto… e puntualmente la quinta traccia, gentilmente, ribalta tutte le carte in tavola: Ångestens Högborg benedice subito le orecchie con una prestigiosa opening di violino, e gli scream di Lindgren sono perfettamente tenuti a bada da una tastiera magnificente, che atmosfericamente la intrappola tra le corde dei bassi e le corde dei violini, mentre i membri della band intonano un coro di strumenti classici, come cornamuse, flauti lontani, che sembra tentare di rinsavire il cantante, ormai preda dei fumi della follia di questo nuovo percorso dei Thyrfing. Poi tutto tace, e inizia uno dei bellissimi assoli ai quali ci avevano già abituato, un assolo di due chitarre molto armoniose, un violino, una batteria ben architettata e un pianoforte classico che suona un inno pacifico ai vecchi Thyrfing, ma che non fa altro che aumentare il mix di sensazioni divise tra classico e nuovo, tra rabbia e compiacimento.
Tutto confermato in The Giants Laughter, sesta rabbiosa traccia, forse la più equilibrata, in cui parti anche heavy supportano un brano ben fatto, ben concepito e condito da brevi refrain di voce pulita che danno quel vago senso di retro finché non si giunge alla title track, Vansinnesvisan. Molti individuano nelle title track i brani più indicativi degli album, e in questo caso non posso che confermarlo. Tamburi tribali, quasi sepultureschi, ci introducono a un’altra canzone furiosa, in cui prendono spazio anche versi, gorgoglii, come una bestia disumana che tenta di liberarsi da un sottobosco troppo fitto, o da una pozza di fango troppo profonda. È una canzone anche divertente da ascoltare, e molto descrittiva se si legge il “suono” del testo in svedese dal libretto (non è necessario capirne le parole), e attacca indubbiamente sulla pelle una sensazione di urgenza difficile da spiegare. E basta, e poi basta, basta follie, chi ha voluto ormai ha avuto, e chi ha dato ha già dato. Adesso inizia Kaos Återkomst, e i nuovi ascoltatori siedano e lascino che i vecchi ascoltatori si cullino in una canzone bellissima, una unica, e ultima reminiscenza triste dei vecchi Thyrfing che furono, i vecchi Thyrfing melodici, epici, dal cantato regolare anche se a volte growlato e a volte screamato, e dalla descrittività melodica senza pari. E lasciate che le lunghe parti strumentali mettano a riposo questo CD tanto peculiare.
Cosa devo dire… due parole ai fans di vecchia data. Se vi piacevano i vecchi Thyrfing attenti all’acquisto. Questo album è diverso. Questo album prende palesemente le distanze dal vecchio viking fatto di legno e ferro e si porta in avanti negli anni, velocemente, fino al metal più moderno, affiancandosi ai nuovi Einherjer, anche se per fortuna rimanendone al di sopra. I Thyrfing stanno mutando faccia, e non sanno ancora dove andare, come gli Enslaved, come gli Amorphis, come Vintersorg. Ognuno prenderà una strada diversa, e l’autentica follia (“The Sound of Madness”) che scorre lungo tutto questo Vansinnesvisor è un chiaro simbolo di cambiamento. Non troverete il vecchio viking metal in questo lavoro; troverete un nuovo viking, un viking di ultima generazione, poco folk e più elettrico, più tecnico. Attenti quindi, prendetelo con le dovute cautele. Ai nuovi ascoltatori invece consiglio di provarlo. È black metal veloce, melodico, con notevoli cambiamenti di tempo e parti interessanti, cattive, a volte insensate, insomma un qualcosa da provare. Io personalmente mi ritengo un grande fan dei Thyrfing, e tutto sommato questo CD non mi dispiace. È un sound decisamente nuovo per me, non ascolto metal di questo tipo. Metal turbolento come questo l’ho sentito dai Finntroll per esempio, ma loro hanno strutture musicali molto più regolari nella loro caoticità. Pensavo che ne sarei rimasto deluso, e invece ogni giorno mi capita di sentirlo almeno un paio di volte. Sarà l’amore per il nuovo, l’amore per il diverso, un amore che potrebbe portare a reazioni di tutti i tipi. Alcune volte un sound così progressista sfiora le pareti del nu, senza comunque, per fortuna sfondarle mai. Sarò paranoico, ma è un presagio, forse. Come i tre corvi che campeggiano sulla facciata del CD.
TRACKLIST:
- Draugs Harg
- Digerdöden
- Världsspegeln
- The Voyager
- Ångestens Högborg
- The Giant’s Laughter
- Vansinnesvisan
- Kaos Återkomst