Recensione: Vegferð tímans
Continua da alcuni anni a questa parte lo stillicidio di band islandesi che, sulla scia dell’Hype creato da band come Skálmöld e Sólstafir, tentano il successo anche fuori dai patri, ristretti confini. Dopo gli ottimi Kontinuum, incontrati in primavera, ecco dunque che questo 2015 ci presenta sul piatto i Dynfari. Un duo che, tanto per cambiare e ancora una volta, ha poco o nulla a che spartire coi tre nomi sin qui scartabellati.
I nostri, che per non farci mancare nulla sono già al secondo disco, sono portatori, tutto sommato sani, di un metal di chiara matrice black, adornato di una forte componente dark ed atmosferica. Nulla di nuovo sotto la luna in realtà, dato che i nostri danno vita a 8 tracce, a ben guardare riconducibili a 4 composizioni e un interludio, ben fatte e con qualche buono spunto. Melodie complesse, lente e vagamente tecnologiche danno vita ad un album molto strutturato e tutt’altro che facile da assimilare.
Le buone premesse, tutto sommato, non si traducono però in qualcosa che possa produrre qualcosa in più di un lieve moto di arcate sopraccigliari. I pezzi partono bene, partono lenti, sembra ci mettano un bel po’ a decollare e difatti, alla fine della fiera, salvo sparuti casi, non decollano mai davvero. Indiscutibilmente buone sono le ritmiche di Sandkorn che creano una buona atmosfera, seppur non ci si trovi innanzi a nulla di trascendentale.
Può essere dovuto, come fatto notare altrove, ad una produzione di qualità troppo bassa, che non premia il suono strutturato dei Dynfari. La verità piuttosto, è che gli islandesi non riescono a metter insieme niente che possa smuovere l’attenzione rispetto al 90% del black atmosferico attualmente in circolo per il globo. Sandkorn è una debole luce in una prima metà assai farraginosa.
Decisamente meglio nella seconda parte del disco, vale a dire la lunga suite Vegferð: trentadue minuti in cui i Dynfari dimostrano di saper dare un po’ di varietà alle loro omogenee composizioni e nostrano di essere dotati di una discreta abilità di songwriting. La differenza vera viene fatta però, molto probabilmente, soltanto dagli inserti di cantato femminile in Ad Astra, seconda parte della suite.
Vegferð tímans dunque avrebbe potuto suscitare buone impressioni se fosse stato ridotto alla sola suite e fosse stato pubblicato come ep. In questo caso invece va vicino alla sufficienza, perché i Dynfari hanno parecchio da migliorare se vogliono ritagliarsi uno spazio nel panorama del black atmosferico attuale.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco