Recensione: Velucifero

Di Matteo Di Leo - 9 Gennaio 2013 - 0:00
Velucifero
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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80

Il brulicante sottobosco italiano sa ancora come regalare piacevoli novità. Nel marasma di cloni, citazionisti e amorfe creature consistenti come carta velina, sbuca fuori di tanto in tanto qualcuno capace di ergersi dal ciarpame circostante. È il caso degli Hellectrochains, contorta entità originaria di Lodi portatrice di un messaggio infetto, schizzato ma non di meno affascinante e coinvolgente.

Partiti come feroce macchina grindcore, il combo capeggiato dall’enigmatico Nove ha assimilato col tempo le più disparate influenze del mondo estremo, dando vita a un composto tanto corrosivo quanto subdolo, capace di insinuarsi fin sotto la pelle. Dopo un promo EP datato 2007, cui fece seguito una buona promozione per tutta la Lombardia ma anche una successiva inattività di ben tre anni, la band nel 2011 ha realizzato, presso i Massive Arts di Milano, il CD d’esordio “Velucifero”.

Oltre che dal già citato Nove, autore di tutte le musiche e mattatore alla chitarra e alle voci pulite, il quartetto meneghino è completato da V, voce principale e growler, Kuns responsabile delle linee di basso e di lancinanti scream; mentre dietro le pelli siede Marco Di Salvia, straordinario batterista già all’opera con Node e Pino Scotto che ha prestato la sua opera solo per la realizzazione del disco visto che la band era rimasta orfana del drummer originario Chenc già nel 2008. Oggi il ruolo è affidato in pianta stabile a Frank.

«La velocità deve avere necessariamente qualcosa di diabolico».

Ecco spiegato il titolo del full-length, direttamente nelle parole del leader impresse nel curato booklet. Ma non soltanto la velocità qui ha proprietà mefistofeliche. Le melodie, malate e paranoidi che sono profuse a piene mani sia con la sei corde che con i sorprendenti chorus, difatti assoggettano l’ascoltatore a ripetute fruizioni, mentre il groove animalesco ha la forza di disarcionarlo dalla poltrona. Intrecci, sovrapposizioni e alternanze di differenti stili vocali sono altro elemento cardine, un’enfatica declamazione delle corrosive liriche di cui i ragazzi si fanno cantori.

Il cerchio è chiuso dalla cangiante varietà stilistica sfoggiata in ogni singolo brano, se è vero com’è vero che si passa da brani hardcore/metal di assoluto impatto e fantasia (“Ombre”, “No Time”, “Inverno Rooms”), assalti deathcore con rimandi al nu-metal (“My Hour” e “Focus”, dal cui refrain si scorge l’ombra del collo taurino di Corey Taylor) e canzoni ove convivono nello spazio poco più di tre minuti il gelo della Scandinavia, testi in italiano e ritornello pulito (“In Volo”). Menzione d’onore per “Drawning Away”, autentica gemma del disco che, avvalendosi della bellissima voce di Masha Mysmane degli Exilia, riesce a benedire il suono catramoso tipico della band con un motivo emozionante e trainante, qualcosa che farebbe la proprio figura su tanti di quelle uscite che sono stati idolatrati negli ultimi anni.

“Velocifero” è quindi un gran bel lavoro, intenso e dotato di personalità, cui purtroppo fino ad oggi non è stato dato il giusto risalto mediatico e in un panorama stantio come purtroppo spesso si dimostra l’underground italiano, questo è un peccato mortale: spetta a noi non perpetrarlo.

Matteo Di Leo

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Tracce:
1. Ombre 3:50
2. No Time 3:11
3. Drawning Away 4:18
4. Focus 3:54
5. My Hour 4:12
6. Opera 4:22
7. In Volo 3:15
8. The Grudge 4:11
9. Corvino 4:13
10. Inverno Rooms 3:38
11. Scum Religion 2:34

Durata 42 min.

Formazione:
V – Voce e growl
Nove – Chitarra e voci pulite
Kuns – Basso e scream
Marco – Batteria
 

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