Recensione: Venom
“Are you ready? One, two, three… VENOOOOOOOOOOM!”
Un cazzotto ben assestato fa sempre molto heavy metal. Se poi è potente come quello di Bane, arcinemico di Batman, dopo un’abbondante iniezione di Venom… tanto meglio! Ok, forse il titolo del decimo album della band di Chris Impellitteri non è proprio ispirato dal forzuto nemico del Cavaliere Oscuro targato DC Comics, come possiamo evincere dal velenoso e barocco artwork di copertina che surclassa sfrontatamente quelli ben più anonimi di “Pedal to the Metal” (2004) e “Wicked Maiden” (2009), ma poco importa. Quello che conta è la potenza straordinaria con la quale, dopo sei anni di silenzio, il chitarrista heavy/speed con forti influenze neoclassiche ritorna sulla scena, affiancato dalla voce leggendaria del compagno di avventure Rob Rock, rientrato in formazione dopo una pausa dal 2000 al 2008.
La titletrack “Venom” vanta infatti un attacco di quelli che ti lasciano senza fiato, forte del suo riff veloce e roccioso, seguito dalle incursioni vocali del frontman americano che sembra rievocare tutta l’eredità del buon heavy metal ottantiano. La sezione ritmica di James Amelio Pulli (al basso) e del neo-entrato Jon Dette (alla batteria) è una furia inarrestabile e quadrata, mentre l’assolo del virtuoso delle sei corde si ritaglia il suo spazio senza invadere la struttura portante del brano, come da tradizione. È infatti questo un segno distintivo del lavoro al songwriting di Chris Impellitteri, capace di inserirsi con notevole senso della misura nella struttura geometrica dei suoi pezzi, senza dilungarsi in lunghi assoli come il panzuto maestro svedese dal quale trae palesemente ispirazione con impeccabile pulizia e precisione tecnica.
Il lavoro prosegue senza soluzione di continuità, appena tre minuti che siamo già assorbiti da “Empire of Lies”, il cui video prosegue nella stessa location del precedente, sempre nello stile in cui venivano girati negli eighties: un palco e la band che suona dinanzi ad un pubblico che non c’è. Seguono la rockettara “We Own the Night” e la più oscura “Nightmare”, con un Rob Rock sugli scudi che dimostra ancora grande flessibilità interpretativa.
“Face the Enemy” col suo arpeggio riverberato in apertura prova a rallentare il ritmo dilatando leggermente la durata del brano, raggiungendo un ritornello dall’ottimo tiro che si manifesta dopo la seconda strofa – ci pensa poi lo shredder a sparare un solo che dura un respiro. C’è anche posto per un brano come “Jehova”, che nasce dalle chiare influenze cristiane di Rob Rock. Chiudono il lotto “Time Machine” (che in principio doveva essere la titletrack dell’album, spodestata poi da “Venom”) con un bell’assolo dal ritornello abbastanza telefonato e la carica di “Holding On” con un assolo a due chitarre.
Trentacinque minuti e lo spettacolo è finito. Come un giro sulle montagne russe: velocissimo, intenso ma di breve durata. “Venom” è un disco sfrontato nella sua compattezza e nel suo senso della misura, cesellato all’inverosimile durante i sei lunghi anni che lo separano dal predecessore, talvolta fin troppo quadrato e ripetitivo nel songwriting ma indubbiamente carico di un’energia non comune: del resto, non sempre per scrivere della buona musica bisogna necessariamente innovare. Ai primi ascolti la musica sembra fluire come un’unica sfuriata ininterrotta, mentre negli ascolti successivi i brani vengono a reificarsi dalla roccia come una scultura michelangiolesca. Consigliatissimo, oltre ai fan immarcescibili del guitar hero e del cantante americano, a chiunque voglia farsi un giro nella velenosa ‘Time Machine’ e volare, seppur per pochi minuti, sulle ali neoclassiche dell’heavy/speed metal degli intramontabili anni ottanta.
Luca “Montsteen” Montini