Recensione: Veritas
La storia discografica dei Maïeutiste è piuttosto breve e ha al suo arco solamente due frecce, nonostante il primo demo risalga al lontano 2007. Il collettivo francese aveva già dato ottima prova e fatto parlare di sé col debutto di quattro anni fa, e il nuovissimo Veritas non fa altro che confermare le sensazioni più che positive che da sempre hanno gravitato su questi ragazzi. La perfetta definizione del sound dei Maïeutiste porta proprio il nome del suo primo vagito: Socratic Black Metal. Parliamo quindi di musica estrema fortemente contaminata, zeppa di infliuenze e coi testi pregni di contenuti filosofici; considerare tutto black, death, doom o avantgarde risultrebbe fuorviante e riduttivo. Tutti questi generi sono presenti in Veritas e sono ben dosati rendendo l’opera scorrevole e mai scontata. Ogni brano ha la sua precisa identità e i suoi tratti distintivi metre l’ascolto risulta stratificato e zeppo di dettagli.
Si inizia con Veritas I, che ha tutti i crismi di un buon brano melodeath e rimanda agli Edge Of Sanity o ai vecchi Opeth; finalmente le clean vocals non sono interpretate da un eunuco o da un incapace e il tutto ne giova brillantemente.Superlativa la parte centrale dove un’inaspettata virata verso il prog cambia le carte in tavola, alza il livello e traghetta verso la conclusione tra distorti e acustici. Infinitus è senza ombra di dubbio il brano migliore di Veritas: l’apertura vira sempre sul death ed è posta solo per essere dimenticata come un concetto proferito in maniera sbagliata. Ci si ripensa, si passa all’acustico e alle clean e il tutto assume inaspettate coordinate progressive che generano un inquietante senso di attesa. Il brano presto esplode tornando death con un riff tritacarne e il ritorello fa da contrappunto cercando di mesmerizzare l’infinito ricordando un vecchio brano dei Pure Reason Revolution; finale che rimanda ai mai troppo compianti Ocean Of Sadness e grandissimo brano tramandato ai posteri.
Spiramus è un breve intermezzo fatto di archi e leggerezza, barocco ma azzeccatissimo con le sue voci malinconiche e suadenti; si torna poi a fare sul serio con Universum e il sound muta ancora forma. Si rallenta un po’ il tiro e l’alternarsi tra le clean e i lamenti disperati è ben riuscita; il brano è umorale e presto prende la tangente virando verso l’avantgarde. La qualità musicale rimane sempre medio/alta ma un filo sotto i primi due brani, che risultano più inquadrati e convinti. Vocat cambia direttamente genere, rallenta le ostilità esplorando anche il doom, e di certo non possiamo affermare che Veritas sia un disco monotono.Nel suo quarto d’ora a disposizione il brano si dipana in trame e sottotrame e dimostra un songwriting di livello piuttosto alto. Ottime le accelerazioni, ottimi le dissonanze e le atmosfere mentre il finale inaspettatamente veloce e brutale e la perfetta ciliegina sulla torta. Discorso diverso invece per la conclusiva Veritas II, che è un brano posto in ripresa del primo e che dopo pochi minuti si stoppa in maniera secca. Vi sono poi otto minuti di silenzio e si conclude poi riprendendo per qualche secondo con suoni dissonanti e malsani. Probabilmente in tutto ciò ci sarà un senso (il nostro promo non ha né testi nè spiegazioni), ma musicalmente possiamo affermare che, se i due Veritas fossero stati presentati come un unico brano e il disco si fosse concluso con Vocat, la valutazione sarebbe stata di qualche punto in più.
Ottima prova per i Maïeutiste, che rispetto al primo album migliorano soprattutto la produzione e snelliscono il loro sound in favore di una durata meno opprimente e più fruibile. Grandi idee, esecuzioni e soluzioni di qualità; in questo caso si è inciampati solo su pochi dettagli, che però impediscono a Veritas di avere quella marcia in più totale che la maturità artistica è in grado di dare. Siamo certissimi che tutto ciò faccia parte di un percorso con la maggior parte di strada ormai spianata; sicuramente il terzo album ci dirà in che modo la band francese deciderà di percorrerla. Per adesso, consigliati!