Recensione: Vermillion

Di Roberto Gelmi - 26 Agosto 2024 - 10:00
Vermillion
80

Quella che segue è una doppia recensione, Vermillion merita infatti un’analisi da più punti vista. Il voto finale è la logica conseguenza di entrambe la disamine. Buona lettura a tutti!

 

Recensione di Roberto “Rhadamnahtys” Gelmi

Finalmente è stato pubblicato il primo disco solista di Simone Johanna Maria Simons, la cantante degli Epica e special guest in tante band come Angra, Kamelot e Timo Tolkki’s Avalon. Il connazionale e mastermind degli AyreonArjen Anthony Lucassen replica con lei quanto di buono già fatto con Marcela Bovio (e gli Stream of Passion) e con Anneke Van Giersbergen (il concept The Gentle Storm). Fa una certa impressione in effetti  pensare a quanta musica degli Epica ha macinato la cantante olandese (oggi non ancora quarantenne), mentre nel frattempo continuava a mancare un’uscita solista. Per arrivare al traguardo c’è voluta la sapiente egida del maestro Lucassen, che confeziona, insieme alla compagna Lori Linstruth, musica e testi capaci di valorizzare l’ugola potente e cristallina di Simone, con la quale è tornato a collaborare per il recente Transitus e l’ultimo live degli Ayreon.

Anche il resto della line up è di tutto rispetto, troviamo infatti altri compagni di viaggio: John Jaycee Cuijpers (Arjen Lucassen’s Supersonic Revolution, Praying Mantis) alle seconde voci, Ben Mathot (Ayreon, Gentle Storm, Stream of passion, Xandria) al violino e Koen Herfst (Vandenberg) alla batteria. Non mancano anche rincalzi direttamente dagli Epica come Rob van der Loo al basso e il growl di Mark Jansen. Ad alzare il livello di hype ci hanno pensato infine alcuni video – l’ultimo dei quali vede il duetto niente meno che con Alissa White-Gluz (Arch Enemy) – e l’idea concettuale di legare il platter al colore vermiglio. E allora passiamo all’ascolto di Vermillion, senza farci intimorire dalla versione gorgone di Simone in copertina.

 

L’opener “Aeterna” (primo singolo uscito a maggio e brano più lungo del disco) è un pezzo accostabile agli Ayreon più barocchi. Sintetizzatori, atmosfere spaziali e cori mistici in latino: sembra la colonna sonora di Dune (film cui Arjen ha dedicato “Sandrider” nel primo capitolo Star One). Simone canta «We are one / In starlight we shine» ed è subito dichiarata la sua ambizione di prendersi la scena. Bello anche il finale, più movimentato e ballabile. Il secondo singolo, “In love we rust”, convince leggermente meno. I ritmi sono volutamente blandi, il sound heavy, il ritornello pecca di eccessiva enfasi, d’altra parte le linee vocali sono ideali per Simone che inizia a prendere gusto dello spazio messole a disposizione. “From cradle to the grave” è anche più pesante come brano, la presenza di Alissa White-Gluz va a comporre il binomio apollineo-dionisiaco che tutti possiamo ammirare nel video recentemente pubblicato online, ma non si va oltre. L’attacco di “Fight or Flight” ricorda quello di “In the black Hole” (brano del secondo capitolo Universal Migrator degli Ayreon): si ripropongono sonorità oscure e rarefatte sulle strofe, con un ottimo inserto di violino. Simone indossa a tratti anche la veste operistica e il risultato è un buon pezzo, tra i migliori in scaletta.

Finora tutta musica potente e quadrata ma manca un po’ di eclettismo. Fortunatamente la successiva “Weight of the world” dà una sterzata in questa direzione. Basta un synth catchy all’avvio del pezzo e qualche strofa in tedesco per rendere il tutto più fastoso e ficcante.

Siamo al giro di boa: fin qui il disco non ha annoiato ma nemmeno stupito in modo eclatante. Vediamo allora cosa riservano le ultime cinque composizioni in tracklist. “Vermillion Dreams” è una strana creatura, vive di ritmi percussivi e improvvise fiammate, con testi dedicati al colore che associamo al sangue e alla vetus flamma. Restiamo spiazzati ma la sensazione di spaesamento dura poco perché senza soluzione di continuità attacca “The core”, pezzo potente con parti in growl e tanta adrenalina: una combo micidiale. E la successiva “Dystopya”? Trattasi di tipico brano inteso a dipingere scenari apocalittici targati Lucassen. I testi sono di raro pessimismo visionario – “Rivers black with the greed of men / The lands are burning, all dead” – e la voce eterea di Simone crea una dissociazione totale tra musica e liriche che rende il tutto ancora più inquietante e profetico. Decisamente un pezzo riuscito.

L’epilogo di Vermillion spetta a “R.E.D.” e “Dark Night of the Soul”. “R.E.D.” presenta il refrain più aggressivo dell’intero album, con l’acronimo del titolo scandito dal growl di Mark Jansen. Un inno alla distruzione totale che richiama la potenza di “Fate of man” (opener dell’ultimo disco degli Star One) ma con un incedere più compassato e scenografico. Bellissima e toccante, invece, la conclusiva “Dark Night of the Soul”, pezzo unplugged che fa invidia ai Nightwish (di ieri e di oggi) e restituisce in purezza la classe di Simone accompagnata da violino e pianoforte. Vengono in mente i fasti del compianto gothic metal che dava i brividi per intensità e sentimento…

Come valutare, dunque, i 45 minuti che compongono Vermillion? Anzitutto va riconosciuto che non è sicuramente un disco di facile fruizione. Propone un’altalena emotiva tra pezzi potenti e altri meno immediati; si poteva, altresì, rendere il tutto più ambizioso per molti aspetti, vista l’artista chiamata in causa, magari proponendo una suite finale di quelle memorabili. Nel complesso, tuttavia, la prima prova solista della Simons coglie nel segno e regala una manciata di brani niente male (“Aeterna”, “Fight or Flight”, “Dystopia”, “Dark Night of the Soul”).

Lunga vita, dunque, alla regina dalla chioma fulva: Simone Simons resta insieme a Sharon Den Adel, Floor Jansen, Anneke Giersbergen e Charlotte Wessels una delle cantanti di punta del metal in terra d’Olanda. Che Vermillion possa essere il primo di altri capitoli della sua carriera solista!

Red!
Like the passion in my eyes
Like the burning end of time
Like the fire of a love that never dies
Like the bloody war of kings
Like the heart and diamond queens
Like the blood inside, love we hide
Red! Red!

 

Recensione di Paolo Fagioli D’Antona

Cosa accade quando una delle vocalist migliori del panorama metal contemporaneo si “sposa” musicalmente parlando con uno dei più grandi compositori della scena progressive metal (e non solo) di quest’epoca? Di certo il risultato non può lasciare indifferente e difatti così è stato.

Vermillion, primo disco solista di Simone Simons in collaborazione con il celebre polistrumentista olandese Arjen Anthony Lucassen, è un disco che certamente non è per tutti; raffinato, ricercato ed elegante, ma soprattutto un lavoro molto lontano dal sound che ha reso famosa in tutto il mondo la voce di Simone con i suoi Epica. Già, perché questo non è un disco symphonic metal ma piuttosto un album che vede lampante l’impronta del geniale polistrumentista olandese e chi è fan del suo progetto Ayreon, troverà subito quell’indelebile trademark di Lucassen, a partire dalla produzione, dai suoni e dallo stile musicale. Vermillion è un disco che farà felice insomma tutti i fan del buon Lucassen proprio perché al suo interno si ritrovano tante delle soluzioni musicali adottate non solo in Ayreon ma anche in tanti suoi altri progetti come Ambeon e Guilt Machine. Ma d’altronde la grande stima, l’amicizia e l’ammirazione che la stessa Simone ha sempre dimostrato verso lo stesso Mr.L (e viceversa per essere onesti!), ha fatto si che questa collaborazione fosse inevitabile, per un disco che a detta della vocalist olandese voleva portare in musica tante delle sue stesse influenze musicali che l’hanno fatta crescere come artista: parliamo di band come Dimmu Borgir, Rammstein, Muse e naturalmente gli stessi Ayreon. Ovviamente i due hanno collaborato spessissimo insieme, non solo negli album degli Ayreon  01011001,The Source e Transitus, ma anche in sede live negli show di Tilburg del 2019 e 2023 degli Ayreon stessi e Vermillion dunque rappresenta l’ennesimo tassello di una collaborazione che si rivela sempre vincente. Il disco è un concept album che ruota attorno al colore rosso vermiglio (come evidenziato palesemente dal titolo del lavoro e della copertina) e da tutte le emozioni che ruotano attorno a questa tonalità . Si parla di passione, paura, rabbia, amore e molto altro, tutte tematiche approfondite dai testi perlopiù scritti dalla stessa frontwoman degli Epica.

Musicalmente Vermillion è un ricchissimo viaggio tra sonorità industrial ed elettroniche (che certamente si ritagliano uno spazio maggioritario nell’economia del sound dell’album), sezioni più atmosferiche e ambient (che ricordano il side project del 2001 di LucassenAmbeon che ricalcava quelle sonorità), parti sinfoniche, assoli eterei e dal sapore squisitamente floydiano, chiudendo il tutto con delle sezioni chitarristiche con dei riff semplici ma abrasivi, che donano robustezza all’album dove serve, accompagnati talvolta da delle parti di voce in growl eseguiti da Mark Jansen (chitarrista e compositore principale degli Epica) ma anche da Alissa White-Gluz degli Arch Enemy nel brano “Cradle To The Grave”. Ovviamente come non menzionare la magnifica voce di Simone Simons, che qui troviamo su registri sonori un tantino diversi da quelli degli Epica offrendo comunque una varietà invidiabile alle sfumature della sua timbrica vocale, da sezioni più basse ad altre dove la troviamo su lidi più operistici come accadeva spesso nei primi album degli Epica. Arjen d’altronde è un compositore e musicista che sa sempre far rendere al massimo le persone con cui collabora, specialmente quando si parla di vocalist. Quest’ultima (a detta sua), è certamente una delle sua doti migliori e non a caso in questo disco si ha la sensazione che la voce di Simone brilli ancora più del solito per una prestazione vocale magistrale e che si sposa benissimo con il sound dei brani.

Aeterna apre l’album con le sue meravigliose parti di violino, il suo andamento cadenzato (caratteristica questa che accomuna buona parte del disco), accompagnato da delle aperture più bombastiche e sinfoniche assieme quei cori in latino che tanto abbiamo imparato ad apprezzare in molti dischi degli Epica in particolare. Tutto questo accompagnato da un vibe distopico e futuristico che è sicuramente un filone che accompagna buona parte del disco, probabilmente anche per via della forte impronta industrial ed elettronica di molti brani. Ed è proprio in Aeterna che si sfocia verso la fine del brano in una di queste sezioni con le chitarre che acquistano robustezza. Strepitoso poi il finale con quella sezione quasi in vena electro-dance che dona un “twist” interessante al pezzo pur non facendo perdegli nulla della propria drammaticità. Intro dal sapore elettronico e ambient nella successiva “In Love We Rust” che ci riporta dritti dritti nelle atmosfere di 01011001 degli Ayreon, pezzo tra l’altro coadiuvato da una delle melodie vocali più belle ed emozionanti dell’album da parte di Simone. Meraviglioso l’assolo decisamente di stampo gilmouriano del pezzo, che ci porta ad un altro asso vincente di questo disco, gli assoli appunto; essi sono contraddistinti sempre da un sapore sulfureo e sognante e sanno davvero farci immergere in questo mondo dove la dualità tra la freddezza dei suoni elettronici del sound e le tonalità calde e avvolgenti della voce di Simone trovano un equilibrio perfetto. Anche qui uno stile solistico non estraneo ai fan degli Ayreon che verranno immediatamente riportati indietro al meraviglioso disco del 2000 Universal Migrator pt.1: The Dream Sequencer e alle sue atmosfere sognanti. “Cradle To The Grave” mostra il lato più muscolare del disco con le sue chitarre abrasive e le vocals di Alissa White- Gluz (sia in pulito che in growl) e di Mark Jansen, lasciando comunque spazio alle aperture melodiche. “Fight Or Flight” è un altro pezzo splendido, dove stavolta traspare maggiormente il lato emotivo dell’album con un ritornello da pelle d’oca e delle orchestrazioni meravigliose. Simone si sposta per un attimo su tonalità più operistiche, mentre nella più fredda e distopica “Weight Of My World” la sentiamo cantare addirittura sia in tedesco sia in olandese, donando ancora di più ad alcune sezioni del pezzo, quel vibe alla Rammstein che spesso ritroviamo nel disco. Ma la bellezza di questo brano sta ancora una volta nel contrasto… quello tra la freddezza delle strofe e grandezza ed epicità del ritornello, ancora una volta meravigliosamente avvolgente ed emozionante.

Ma uno degli episodi migliori del platter arriva proprio con la (quasi) title-track, Vermillion Dreams con il suo meraviglioso e sognante ritornello e la sua chiusura in chiave operistica, assolutamente regale e di spicco. Quel senso di equilibrio e quella sensazione di saliscendi emotivo si ritrova con la successiva “The Core” più pesante e oscura anche grazie al growl di Mark Jansen,  ma allo stesso tempo dinamica ed avventurosa nel suo andamento. RISE! EVOLVE! DOMINATE! Con queste parole scandite dalla voce in growl dello stesso Mark Jansen che entriamo in uno dei pezzi cardine del disco, “R.E.D,” brano coadiuvato da un concept degno di un film di fantascienza dove i robot prendono il controllo del pianeta instaurando una vera e propria rivoluzione (R.E.D. rappresenta le iniziali di un certo numero di frasi che si possono accostare a questo titolo, Rise-Evolve-Dominate è una di queste così come la più brutale Rise-Enslave-Decimate). A detta di Simone un tentativo da parte di questi esseri non senzienti di provare ad avvicinarsi e scoprire il mistero delle emozioni umane anche attraverso la violenza e l’insurrezione… anche qui quindi il filo conduttore dell’album risultano sempre essere le emozioni in un modo o nell’altro. In questo pezzo troviamo delle sezioni elettroniche molto “spinte”, quasi caotiche, delle vocals filtrate da parte di Simone ma anche delle caratteristiche molto catchy per un pezzo che risulta essere il singolo perfetto per il disco. Ma il disco sceglie di salutarci con un pezzo totalmente diverso da quanto offerto sin ora… “Dark Night Of The Soul” con le sue orchestrazioni, il suo pianoforte e la voce di Simone ci culla in questa bellissima ballad verso  un finale triste, malinconico ma ancora una volta estremamente avvolgente.

In conclusione Vermillion è la perfetta alchimia tra un sound distopico, glaciale ed elettronico ma allo stesso tempo caldo, passionale ed emotivo. Un matrimonio sonoro incredibilmente ben riuscito tra la voce di Simone Simons e le geniali capacità compositiva di Arjen Lucassen per un disco che probabilmente soddisferà maggiormente il fan medio degli Ayreon piuttosto che quello degli Epica, essendo questo un disco con un forte e riconoscibilissimo imprinting musicale da parte dello stesso Lucassen. Egli infatti ha composto un disco che viaggia fortemente vicino a quei lidi musicali già espressi in passato dal geniale polistrumentista olandese in album come The Dream Sequencer degli Ayreon, Fate Of A Dreamer degli Ambeon o On This Perfect Day dei Guilt Machine (tutti comunque progetti di Mr. Lucassen), per un disco raffinato e ricercato, prodotto meravigliosamente e con una Simone in stato di grazia a livello vocale.

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Genere: Progressive  Symphonic 
Anno: 2024
80