Recensione: Via Dolorosa

Di Pasquale Ninni e Leonardo Ascatigno - 19 Settembre 2020 - 10:28
Via Dolorosa
Band: Ophthalamia
Etichetta: Avantgarde Music
Genere: Black 
Anno: 1995
Nazione:
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In alcuni casi bisogna essere pronti a spingersi oltre il semplice concetto di vulgata e delle canoniche certezze per addentrarsi nei meandri oscuri, nobili e geniali della mente che spesso presenta delle pieghe latenti all’interno delle quali si annidano idee, fantasie e suggestioni in grado di cambiare gli assetti del normale vivere comune.

Questa volta si va alla scoperta di un terreno piuttosto inusuale, e per certi aspetti scomodo, nella storia della musica: quello degli Ophthalamia e del loro album Via Dolorosa.

La band viene fondata in Svezia dal 1989 da IT, nome di battesimo di Tony Särkkä già attivo in quegli anni negli Abruptum e nei Vondur, e noto per il suo fare non propriamente allineato ai consueti principi della normalità.

In quegli anni in Svezia, e nel Nord Europa, c’era un ambiente in piena agitazione e inquietudine e per questo ricco di idee che partivano dall’esistenziale, dal personale, dal filosofico, dalla misantropia, dal satanismo, dal paganesimo, dall’odio e dalla voglia di andare oltre; queste idee trovavano il terreno fertile, per poter germogliare e prendere una forma espressiva e rappresentativa, nel Black Metal che rappresenta un contenitore di esperienze probabilmente uniche e mai più ripetute almeno in termini di intenzioni, coerenza e concretezza. In questo contenitore, che verrà identificato con il termine scena (in questo specifico caso seconda ondata Black Metal), si assiste alle connessioni tra band differenti e musicisti già attivi in altri programmi e proprio su questa caratteristica si edifica, in modo perentorio, il progetto irregolare e anticonvenzionale chiamato Ophthalamia.

Il leader del progetto era il già citato IT, che come molti altri suoi colleghi si sceglierà uno pseudonimo proprio per rimarcare lo scollamento dalla tanto odiata realtà, un polistrumentista malefico, perverso e diabolico, ma dai concetti geniali, che si circonderà di altri musicisti tra cui l’altro funesto Jon Nödtveid, leader dei Dissection con i quali IT collaborerà, e suo fratello Emil.

Il Black Metal è anche un mezzo di trasmissione di una figurazione socio-culturale tendente al male e a un atteggiamento nichilista diffuso, strumento di espressione rabbioso di tematiche e stili di vita crudi, dissacranti, provocatori, occulti, satanici, dolorosi, tendenti all’odio e alla morte declinata al suicidio e all’omicidio, che attraverso la voce, elemento disturbato e disturbante, cerca di unire il vero con quello che il Black Metal rappresenta, cioè la spinta oltre il limite consentito.

Sulla scorta di questo scenario e in un panorama sociale ritenuto completamente ostile, forse anche a causa delle sue origini e del suo nanismo, IT decide di inventarsi nella mente un mondo fantastico (e forse per lui ideale), animato da personaggi immaginari che parlano una loro lingua e questo mondo sarà per lui il luogo chiamato Ohphtalamia; la terra del rifugio, la “terra della sua anima”. La dea di questo mondo si chiama Elishia ed è una donna demone che governa questo spazio fantasioso, abitato da orchi e regolato da proprie leggi. IT ambienterà, proprio come un Tolkien del pentagramma (il paragone sarà abusato ma nulla è più pregnante), le vicende in luoghi, mari, spiagge, ecc., calati nella sua più fervida e nera fantasia e la maggior parte dei lavori della band saranno collegati a questo fantastico mondo. Volendo si potrebbe aprire una discussione ampissima sul lascito di Tolkien nel mondo del Metal, ma questo è un altro discorso, magari da approfondire in altre sedi o in altri scritti.

Proprio su questo sfondo nel 1995, per Avantgarde Music, gli Ohphtalamia pubblicano la loro seconda fatica musicale, Via Dolorosa che, a onor del vero e volendo essere puristi dei generi musicali, per caratteristiche, non si può ritenere propriamente Black Metal.

Già il titolo dell’album rappresenta uno shock shakespeariano per l’ascoltatore, infatti è difficile collocare metaforicamente un album Black Metal sulla “Via Dolorosa”, la via di Gerusalemme che secondo i canoni Gesù percorse dal Palazzo di Pilato fino al luogo della crocifissione. Se si è alla ricerca di significati metaforici questo titolo è un’ottima sponda per i propri esercizi linguistico-esistenziali. Le sorprese, ancor prima di ascoltare il disco, non sono finite, perché ve n’è un’altra di spessore: la copertina. Questa infatti crea uno iato netto con le caratteristiche copertine del tempo e del genere mettendo in mostra, oltre che un abbinamento cromatico bellissimo, una donna, cioè la già descritta Elishia calata nel suo mondo.

IT e la sua truppa, composta da Legion (Erik Hagstedt) alla voce, Shadow (Jon Nödtveit), Night (Emil Nödtveit) e Winter (Benny Larson) dalle primissime note, che poi paleseranno una singola traccia di chitarra, conducono l’ascoltatore in un lungo viaggio atmosferico, onirico, struggente e oscuro con una voce narrante la cui profondità, intrecciata dalle maglie cupe e strette della chitarra, potrebbe portare al centro della Terra, proprio dove risiede Lucifero secondo la tradizione medievale, ma in realtà la voce, in questo monumentale e melodico Intro / Under Ophthalamian Skies / To Be Benighted, descriverà proprio il mondo di Ohphtalamia con una chiusura agghiacciante “To live and to die under Ohphtalamian sky”.

Il mondo sarà descritto con una sintesi evocativa tipica dell’ermetismo, dove poche parole descrivevano esattamente un concetto, per esempio bellissimo è il passaggio “Everlasting is the rain that from the sky falls/Grey and cold is the gloomy Ophthalamian sky” dove forte è l’eco e il legame, considerato il titolo dell’album, con l’Eclissi della crocifissione raccontata nei Vangeli sinottici.

In realtà questo Intro / Under Ophthalamian Skies / To Be Benighted potrebbe assurgere a manifesto del mondo di IT in quanto in un altro verso emerge l’accettazione della morte quasi desiderata, questo nello specifico: “It’s under that majestic sky I’m ready to die”. Questo sentimento emerge chiaramente nel brano Via Dolorosa / My Springnight’s Sacrifice quando, in un tributo di coerenza, viene cantato “The first flight of the butterfly / reminds me about my hate for life / Stronger death is than love / for that your destiny is my knife”. Anche qui i punti di contatto, tra sacro e profano, con la tradizione religiosa sono forti e pregnanti, infatti la morte e la resurrezione di Gesù (ricordiamoci sempre il titolo dell’album) sono state perennemente accostate alle vicende della farfalla, dove il bozzolo che contiene il bruco rappresenterebbe il sepolcro, da questo poi esce il bruco e si trasforma in farfalla per rivivere a nuova vita. Noi sappiamo bene le intenzioni di IT, ma questi collegamenti non sembrano essere peregrini.

A partire dal già celebrato Intro il resto sarà un insieme di potenza, gelo, oscurità, malinconia dove il Black troverà felici contaminazioni con il Doom, la sperimentazione e anche con il Rock anni ’70. I brani sono collegati tra di loro, proprio come le tappe di una via che a lungo andare sarà dolorosa.

L’apertura di Intro / Under Ophthalamian Skies / To the Benighted è affidata a un arpeggio in La minore di chitarra acustica, non molto elaborato per la verità, ma che già lascia intendere qual è la provenienza del combo. Un tema in frigio parte dopo la voce narrante, quasi a voler scandire le atmosfere oscure di tutto il platter. Black As Sin, Pale As Death / Autumn Whispers è di sicuro impatto emotivo e in alcuni passaggi ricorda il finale di The Twilight Is My Robe, brano tratto da Orchid degli Opeth.

È suggestivo notare i continui punti di contatto (anche dal punto di vista della produzione) tra Via Dolorosa e Orchid, due album usciti quasi in contemporanea nel maggio del 1995. Alcuni passaggi tendenti al prog li troviamo nella parte centrale del brano, dove il drumming risulta quanto mai impegnato a inseguire i numerosissimi riff (alcuni davvero pregevoli) di chitarra. L’intro di After a Releasing Death / Castle of No Repair, Pt. II risulta alquanto singolare, ipnotico e Doom fino all’inverosimile, ma che lascia intravedere quello che forse si rivelerà essere in vero tallone d’Achille dell’intero disco (musicalmente parlando): la mancanza di potenza da parte delle chitarre. Il continuo sfornare riff alla Tony Iommi senza però avere il suo sound purtroppo affaticherà l’ascolto da qui in poi. Non si parla di produzione, ma di un’apparente ostinazione nel tentativo di lasciare la singola traccia di chitarra “così com’è”, ovvero senza rafforzarla con sovraincisioni della stessa o controcanti che impreziosiscano il riff di turno (come in Orchid, appunto); ma qui forse sta l’attitudine più black, più istintiva e selvaggia. Pochi fronzoli, dunque, anche se ascoltare la successiva Slowly Passing The Frostlands – A Winterland Tear è decisamente un piacere. Qui c’è del Dissection sound dappertutto (esclusione fatta per l’assenza di armonizzazioni di chitarra di cui sopra). L’intro è una sorta di The Somberlain proveniente dai seventies, ipnotico e davvero evocativo. La rabbia esplode al minuto 1:35, inaspettata con riff in Re minore (poi riproposto una quarta sopra con variazioni). Via Dolorosa / My Springnights Sacrifice è forse l’opera più complessa del disco che porta il suo nome e qui nuovamente torna Orchid alla mente. Questa volta, però, le chitarre si intrecciano e finalmente il botto: un tema al minuto 2.50 da togliere il fiato, anticipato da un colpo di rullante secco e deciso a voler ribadire il concetto. Dopo il “Undress my bride and let us feed upon lust” del chorus (nel testo) si riparte come in una suite alla ricerca della danza più oscura, i riff si susseguono senza sosta e il drumming di Winter risulta davvero convincente.

Le atmosfere diventano più sognanti in Ophthalamia – The Eternal Walk Part III. Stupendo l’intro atipico e l’evoluzione prima del verse, mentre è più dispersiva nella parte centrale. Chitarristicamente ci sono davvero delle belle idee qui, ma il voler costruire parti strumentali quasi esclusivamente in modo melodico necessita di una padronanza musicale un po’ più elevata. Nella stesura del tutto la reprise arriva quasi in sordina e questo è un vero peccato!

Segue Nightfall Of Mother Earth / Summer Distress con testo in madrelingua svedese. Qui c’è l’essenza del vero sound degli Ophthalamia. Tutto risulta più concreto, più focalizzato e senza dubbio “più d’impatto”.

Nel finale echi di Where Dead Angels Lie dei Dissection danno solo l’illusione di un finale, ma quest’ultimo farà balzare dalla sedia in quanto a malignità. L’Outro-Message To Those After Me / Death Embrace Me (Part II) vale tutto il disco. Quasi fosse entrato a far parte della corte di IT il buon caro Xytras dei Samael (il suo lavoro solista Passage potrebbe suggerire qualcosa). Sognante e inquietante allo stesso tempo: due termini di uguale peso per descrivere questo viaggio.

Probabilmente Via Dolorosa non è il lavoro migliore degli Ophthalamia, forse Dominion è più creativo e completo e A Journey in Darkness più ispirato, ma sicuramente è il più misterioso, ambiguo, metaforico, evocativo, simbolico e malinconico.

 

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