Recensione: Vidia

Di Daniele D'Adamo - 1 Maggio 2014 - 19:14
Vidia
Band: HateTyler
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2014
Nazione:
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70

 

Band fresca e frizzante dai recenti natali (2011), gli alessandrini HateTyler giungono al secondo full-length, stavolta con la SG Records, “Vidia”. Album che, rispetto al debutto “The Great Architect” (2012), è stato elaborato con una formazione variata nel cantante e nel batterista. Un cambiamento non da poco che, comunque, non ha scoraggiato i Nostri, bene attenti a sviluppare uno stile più personale possibile basato su una pimpante miscela di metalcore, groove, death, thrash e prog.

Troppo? Beh, certamente, quando si attinge da più di un sottogenere metal il rischio non trovare la via maestra è alto. Si può cadere, cioè, nell’indeterminazione, nella confusione se non addirittura nel caos. Intersecare tipologie simili ma non uguali come quelle più sopra menzionate può dar luogo a un lavoro composto da frammenti disgiunti, ciascuno proiettato in una traiettoria lontana da quella successiva. Come mettere insieme canzoni ciascuna di una ben definita foggia, questa però sempre diversa.

Questo preambolo, magari troppo lungo o tedioso, serve a inquadrare correttamente “Vidia”. Che, non a caso, corre sul filo del rasoio per tutti i suoi cinquanta minuti di durata. Occorre mettere bene in chiaro, a scanso di equivoci, che la distruttiva frammentazione ipotizzata non avviene. Bene o male, Oliva e i suoi compagni riescono a tenere assieme le fila di un discorso in ogni caso indicativo di una personalità decisa e in grado di manifestarsi con continuità e omogeneità. Il problema è che lo fanno in maniera appena sufficiente, probabilmente – con ciò – levando dei punti a un’opera che, con più unitarietà d’intenti, avrebbe avuto un valore artistico superiore. Prova ne è che ripetendo anche molte volte l’ascolto del platter, riesce arduo fissare un punto di riferimento fisso nella mente, cioè quello che si definisce ‘marchio di fabbrica della band’.

Concentrandosi sulle singole song, al contrario, gli HateTyler mostrano inequivocabilmente una spiccata attitudine per scrivere in modo accattivante. Sono più di uno, difatti, i brani interessanti che, per un motivo o per l’altro, possono essere ben menzionati. A dire il vero, quasi tutti! Cominciando dall’opener “Vidia”, trascinata da un fantastico riff che ricorda un po’ il modus operandi degli Iron Maiden, gustosamente aggredito dal growling del vocalist. Molto piacevole, pure, il tono melanconico di “Avoid Your Sin”, segmento che include passaggi, ma soprattutto il ritornello, in clean vocals. Linee pulite ripetute qua e là sino alla fine del disco, compresi guitar-solos di ottima fattura (“Swallows And Crows”).

“Listen To My Tragedy”, quasi a voler alzare il livello di attenzione per via del titolo, spara una discreta grandinata di potenza e velocità sulla schiena degli ascoltatori, anche se il morbido e melodico refrain è da hit. In “Awaking The End” fa capolino la sinfonia classica, peraltro ben innestata sulla veemente propulsione thrashy. Così, “Vidia” scorre con un andamento meandriforme sino alla fine, non esimendosi di passare per il pezzo migliore del lotto “Swallows And Crows”, emotivamente sofferto e armonicamente perfetto, tale da accordarsi senza sovrapposizioni alle corde del cuore.   

Dovessero decidere di scegliere definitivamente un approccio stilistico meno dispersivo alla questione, mantenendo intatta la verve compositiva, sarebbero in pochi a star dietro agli HateTyler.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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