Recensione: Vile Nilotic Rites
Uno degli album estremi più attesi di questo 2019 è sicuramente la nona fatica in studio dei Nile. Sono tante le domande che finora hanno girato sul futuro della band e su come quest’ultima avrebbe retto all’urto di una defezione importante come quella di Dallas Toler-Wade, vera e propria colonna portante dei deathster americani. I risultati sono ben oltre le aspettative, ma andiamo con ordine.
In tempi di grande sviluppo e ritorno delle musicassette, i Nile offrono finalmente una scaletta umana e tape friendly; la fascetta di At The Gate Of Sethu avrebbe causato un colpo apoplettico anche al più preparato degli impaginatori che, prima di suicidarsi, avrebbe semplicemente scritto “con scappellamento a destra”. Titoli più corti quindi, e una band che Karl Sanders ha di recente descrito come in forma smagliante. Assieme a lui e a George Kollias si aggiungono alla line up Brad Parris al basso e Brian Kingsland alla chitarra e al microfono. Quest’ultimo non sente affatto il peso né l’ingombrante presenza del suo predecessore e offre una prova sontuosa sotto tutti i punti di vista.
Il disco sfiora l’ora di minutaggio e serve subito una triade micidiale con Long Shadows Of Dread, The Oxford Handbook Of Savage Genocidal Warfare e la titletrack che già conoscevate. La sezione ritmica pesta come un’ossessa e viaggia come una scheggia impazzita; il riffing è serrato e tagliente e le prestazioni al microfono non fanno per nulla rimpiangere il passato. I Nile sono sul pezzo, perfettamente in palla e con un’alchimia in studio coi nuovi elementi già a un alto livello. Seven Horns Of War a nostro avviso è il brano migliore del lotto: nei suoi quasi nove minuti si dipana in maniera epica, brutale e sfoggia un livello di songwriting che riesce anche al nono album ancora a stupire, riuscendo anche ad inserire un’improbabile quanto riuscitissimo break teatrale. La produzione è potente e abrasiva; forse si sarebbe potuto fare un po’ meglio per quanto riguarda la sezione ritmica ma ci accontentiamo.
That Witch Is Forbidden parte in sordina rivelandosi invece un brano dalla brutalità inaudita, horrorifica e dalle grandi e fumose trame di chitarra, mentre le seguenti Snake Pit Mating Frenzy e Revel In Their Suffering non calano l’intensità di un millimetro, confermando ancora una volta quanto la bestia sia continuamente asseteta di sangue. Thus Sayeth The Parasites Of The Mind è un breve intermezzo che spezza per poco le ostilità e prepara l’ascoltatore al gran finale.
Where Is The Wrathful Sky è un brano bestiale e sontuoso, con una parte centrale spettacolare a base di chitarre acustiche e percussioni; sarebbe davvero stato un finale perfetto. I nostri invece decidono di strafare e servono in tracklist altri due brani, The Imperishable Stars Are Sickened e We Are Cursed, che allungano un po’ il brodo risultando a nostro avviso non all’altezza delle tracce precedenti. Il primo è un lentaccio di otto minuti che stilisticamente non aggiunge nulla e alla lunga finisce anche per annoiare; c’è un qualche timido tentativo di clean vocals e poco altro; il secondo alza un po’ il livello e risveglia appena l’attenzione, rivelandosi in ogni caso un momento tutt’altro che memorabile.
Vile Nilotic Rites è un gran bel dischetto, che è qui per ribadire che i Nile sono qui per rimanere e non ci stanno a fare la figura delle semplici comparse. Moltissime band con la dipartita di un membro fondamentale si sono rovinate e non sono mai tornate ad essere quelle di una volta; la cosa non ha invece scalfito minimamente Karl Sanders e soci, anzi, ha dato loro nuova linfa vitale e una potenza che ad oggi risulta fresca ed inaudita. Se avevate paura o perplessità sulla presente e futura carriera dei Nile potete dormire sonni tranquilli: Vile Nilotic Rites soddisferà tutti senza dubbio alcuno e supera di gran lunga ogni tipo di aspettativa. Come detto, la sua durata di quasi un’ora finisce alla lunga per risultare ostica e una decina di minuti in meno di tracklist avrebbe snellito il tutto rendendolo più secco, dinamico e concentrato.
Promossi quindi; nonostante Vile Nilotic Rites non sia affatto un capolavoro, si rivela ben presto una graditissima sorpresa e, più che un arrivo, un nuovo inizio. Quando non devi più dimostrare nulla a nessuno e comunque esci discograficamente in questa maniera c’è poco da dire, se non augurare che la cosa possa servire di lezione a quelli che parlano, parlano e parlano. E ancora parlano.