Recensione: Vile Postmortem Irrumatio
A distanza di tre anni da “Unterweger”, tornano i Maestri del brutal death metal Monument Of Misanthropy. “Vile Postmortem Irrumatio” segna il terzo lavoro in carriera. Inutile ripetere l’importanza del raggiungimento di questo traguardo, poiché la leggenda del terzo album la conoscono tutti.
Come si può facilmente evincere da una rapida lettura dei titoli delle canzoni, il gusto per il gore è rimasto il medesimo. Anzi, con un ritocco in alto dell’asticella del disgusto grazie, si fa per dire, a un concetto che si srotola lungo il disco per raccontare nei particolari le innominabili gesta di uno dei più efferati serial-killer della storia americana: Ed Kemper.
Detto questo, bisogna una volta di più nominare i Nostri come una delle migliori band in tema di death metal super-estremo. Il sound è pazzesco per violenza e aggressività, corrode le membrane timpaniche come se fosse acido muriatico per entrare direttamente nel cervello e farlo esplodere in mille pezzetti molli e grigiastri (Ed Kemper docet…).
George “Misanthrope” Wilfinger è il condottiero che con le sue linee vocali, non particolarmente complesse per non disturbare la buona linearità nel succedersi dei pattern di batteria, trascina per mano gli altri tre pazzi scatenati al fine di creare uno stile il più devastante possibile. Ma anche estremamente tecnico. Sì, perché, va da sé, se i musicisti non sono al massimo del virtuosismo nel trattare i propri strumenti, diviene impossibile raggiungere e sfondare i limiti di velocità imposti dalla furia scardinatrice dei blast-beats.
Dalle note fornite dalla casa discografica non è dato di conoscere nome e cognome del batterista che, comunque non a caso, dire formidabile è dire poco. Oltre a riuscire nel difficilissimo compito di elaborare un drumming molto complicato ma, quasi magicamente, anche lineare, che scorre con scioltezza, spara blast-beats mantenendo intatta la massima potenza anche e soprattutto verso i più alti numero di BPM.
Lo stile che viene fuori è caleidoscopico, mutevole a ogni secondo nel rispetto di dettami di base, elucubrati prima e messi giù poi dal combo a stelle e strisce. A caratterizzare detto stile sono presenti alcuni inserti ambient dal timbro horror, i quali aiutano a delineare le forme di un mood duro, crudele, freddo, del tipo di quello che si deve provare eseguendo la gelida autopsia delle membra divelte dalla furia dell’assassino.
S’è detto della potenza generata dalla sezione ritmica (inserendo in essa anche il bassista Raphael Hendlmayer), ma non bisogna dimenticare le chitarre. Julius Kössler e Joe Gatsch, con un approccio alla questione quasi thrashy, mulinano una quantità illimitata di riff granitici, rocciosi, stoppati e super-compressi dalla nota tecnica del palm-muting. Per un risultato micidiale, che è quello di bombardare a tappeto i denti di ascolta, maciullandoli. O, che è lo stesso, quello di mitragliare la schiena per farla saltare in aria.
È chiaro, si tratta di metafore, che però aiutano nella comprensione di un sound indescrivibile o meglio scrivibile utilizzando aggettivi esagerati. Come esagerata è la sequenza dei brani. Forse non si differenziano come ci si potrebbe aspettare da un act di tale livello compositivo, impeccabile nel dare la vita a uno stile del tutto personale, ma un po’ carente nel differenziare le tracce. Il che non crea molti problemi poiché, è bene sottolinearlo, “Vile Postmortem Irrumatio” è un’opera da ascoltare tutta d’un fiato concentrandosi sulla riuscita sequenza delle song invece che su qualcuna in particolare.
E i Monument Of Misanthropy? Mostruosi, in tutti i sensi!
Daniele “dani66” D’Adamo