Recensione: Vilosophe
Manes, solo una delle moltissime band nate dalla seconda ondata del black metal norvegese, lustro ‘90/’95, e autrice, all’interno di questo filone, di un album davvero valido, “Under Ein Blodraud Maane” (1999).
Dopodiché una pausa prolungata, e la riapparizione, nel 2003, con questo “Vilosophe”, lavoro nel quale del black metal delle origini è rimasto ben poco, se non alcuni sparsi fraseggi chitarristici. Il resto è uno strano mix di metal sui generis, trip-hop e un certo rock contaminato.
Brusche sterzate stilistiche come questa di solito si risolvono o in completi flop artistici, o in riuscite reinvenzioni della propria identità. In questo caso la band norvegese ha dovuto sopportare un pesantissimo tiro incrociato da parte della frangia più estremista e tradizionalista di critica e pubblico, ma, d’altra parte, poteva contare sul valore di una proposta artistica che unisce la diversità alla qualità.
“Vilosophe”, con buona pace dei puristi, è infatti un album nel quale convivono efficacemente obliqui istinti elettronici, sampler, suoni d’ambiente, e una scrittura piuttosto slegata dalla convenzionale forma canzone. Brani come semplici canovacci sui quali improvvisare, o meglio gettare impressioni sonore, come dei novelli Pollock.
Un album non per tutti, forse, e certamente non per coloro i quali richiedono a una band fedeltà e indefessa dedizione a una causa. La viltà a cui accenna il titolo sta proprio nel rifiuto di queste etichette forzate, nell’appartenere a un genere, o rappresentare solo alcune sfumature emozionali, nello spazio del possibile e del reale.
I Manes scelgono dunque la carta della libertà assoluta, e conducono il loro gioco abbinando a brani frenetici e convulsi come l’opener “Nodamnbrakes [One >> Zero/Endpoint]”, a momenti più rilassati (“Terminus A Quo/Terminus Ad Quem”, “Ende”).
Ogni traccia conduce comunque un discorso musicale a se stante, contribuendo a un’eterogeneità di fondo che rende Vilosophe un lavoro ancor più sfuggente, ma anche interessante. Possibili riferimenti artistici rintracciabili potrebbero essere Massive Attack, Radiohead, Tool, ma comunque filtrati e distorti dalla percezione del gruppo fondato e guidato dal polistrumentista Tor-Helge Skei.
Una parabola artistica per certi versi accomunabile a quella intrapresa dai connazionali Ulver, che non ha però finora ripagato i Manes degli sforzi profusi, per la genuinità di un’audacia artistica non comune, soprattutto in ambienti metal.
Metal dalle ambizioni post-moderne, o solamente sincera e genuina presentazione delle proprie idee, slegate da ogni sovrastruttura? Difficile dirlo con certezza, ma ignorare i Manes e il loro contributo sarebbe comunque una mancanza, per cui ogni ascoltatore dotato di spirito d’adattamento e curiosità artistica.
Alekos Capelli
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Tracklist:
1.Nodamnbrakes [One >> Zero/Endpoint]
2.Diving with Your Hands Bound [Nearly Flying]
3.White Devil Black Shroud
4.Terminus A Quo/Terminus Ad Quem
5.Death of the Genuine [The Redemption Ritual]
6.Ende
7.The Hardest of Comedowns
8.Confluence