Recensione: Vindictive Miscreant
Master: una leggenda del death metal a stelle e strisce. Paul Speckmann [Abomination, Cadaveric Poison, Death Strike, Johansson & Speckmann, ex-Funeral Bitch, ex-Martyr, ex-Solutions, ex-Speckmann Project, ex-Walpurgisnacht, ex-Krabathor, ex-War Cry, ex-Assault (USA)]: una leggenda fra i musicisti del metal estremo internazionale. “Vindictive Miscreant”, quattordicesimo album di una leggenda che fonda le sue radici, addirittura, nel 1983. Attenzione: non è una ripetizione. Tutto ciò che riguarda i Master e Paul Speckmann è leggenda.
La carriera della formazione (divenuta) internazionale non ha conosciuto intoppi: dal debut-album omonimo, 1990, sino a quest’ultimo parto, la produzione discografica è sempre stata costante, regolare nel dare in pasto agli appassionati una buona dose di sano death metal. Sì, perché, pur non avendo in sé nessuna contaminazione, tale death metal si esplicita nella sua forma letterale più pura. Verrebbe da pensare, per gli anni sul groppone dei Nostri, all’old school, ma si compirebbe un errore: i Master generano e rigenerano il proprio stile mediante un modus operandi divenuto piuttosto moderno, attuale, ma costantemente in linea con gli stilemi di base del genere. Questo sì. Sarebbe invero assurdo pensare ai Master in qualcosa di diverso dalla definizione enciclopedica di death metal. Assurdo, poiché i Master sono sempre stati fedeli alla linea, intransigenti nel non lasciarsi cadere in contaminazioni fuorvianti o, peggio, spersonalizzanti.
Del resto, come potrebbe essere diversa da quella che si ascolta nel platter, l’interpretazione vocale di Speckmann? Il suo roco scivolare appena appena nel territorio del growling è riconoscibile a mille miglia di distanza, in quel tono stentoreo addirittura sprezzante. Come se gli ascoltatori non meritassero altro che un approccio presuntuoso e saccente del tipo: «noi siamo i Master, io sono Paul Speckmann, voi non siete nulla!». Questa è naturalmente un’esagerazione, quasi una provocazione, per rendere bene l’idea di quale sia il quid in più che possiede l’ugola acida e corrosa dal passare degli anni di Mr. Speckmann, rispetto alla ribollente moltitudine di vocalist specializzati nel metallo della morte.
Aleš Nejezchleba, il chitarrista ceco, mulina senza pietà la sua chitarra per creare un buon muro di suono. Non enorme, come accade nelle propaggini più estreme della tipologia musicale di cui trattasi, ma sufficiente granitico sì da dar luogo a un sound robusto e possente. Non mancando di richiamare il thrash, e non poteva essere altrimenti, rilevato il periodo storico in cui è nato l’ensemble, quando death e thrash non avevano ancora del tutto completato il loro processo di dicotomia.
Uno stile pertanto simboleggiante in toto la migliore tradizione del death metal, circostanza che potrebbe apparire ovvia in quanto i Master ne fanno parte, di questa tradizione. Potrebbe, poiché non si contano i gruppi che, una volta affacciatisi al sole, hanno cambiato maschera e si sono gettati in fette di mercato più abbordabili, commercialmente parlando. I Master no. Incrollabili di fronte alla fede, al rispetto prima di tutto di se stessi poi dei fan che li hanno seguiti per così tanto tempo.
Non eccezionali le song, (quasi) inevitabile punto debole di un’opera che fonda la sua filosofia nel rispetto, anzitutto, della propria storia. Anche ripetendo più volte i passaggi, “Vindictive Miscreant” non decolla più di tanto, finendo per essere, dal punto di vista compositivo, poco più di un compitino svolto senza quel sacro furore che, forse, chissà, i Master hanno via via perso un po’ per strada. L’insieme dei brani è compatto, coeso e robusto. Senza stelle, però.
In ogni caso da possedere per avere sempre a mente cosa sia il death metal: Master!
Daniele “dani66” D’Adamo