Recensione: Violator
Per Vall è un personaggio piuttosto noto, nell’ambito del metal estremo norvegese. Polistrumentista, attivo negli Allfader, nei Those Left Behind e nei Valla, con un passato negli Amaroc e negli Elite nonché negli Abbath e Allfader come chitarrista dal vivo. Ma, soprattutto, come mastermind dei Vredehammer, da lui fondati nel 2009. Vredehammer che hanno già alle spalle una discreta discografia: quattro singoli (“Cthulhu”, 2014; “We Are The Sacrifice”, 2014; “Ursus”, 2014; “Spawn Tyrant”, 2015), tre EP (“4. September”, 2010; “Pans Skygge”, 2011; “Mintaka”, 2013) e due full-length (“Vinteroffer”, 2014; “Violator”, 2016).
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, preso atto del background culturale di Per Vall, i Vredehammer non praticano il black metal bensì il death. Death metal piuttosto evoluto, certamente venato da intrusioni laviche nerissime, ma sempre e comunque fissato su uno stile che rimanda, perlomeno come idea, al blackened death metal. Con una componente in più rispetto all’insieme dei dettami tipologici che lo identificano: la melodia. Chiaramente non ci si deve aspettare lo swedish death metal, tuttavia in più di un’occasione, in “Violator”, compaiono linee armoniche che addolciscono notevolmente la furia scardinatrice di un sound che non accetta in ogni caso alcun compromesso (“Spawn Tyrant”).
Per Vall, inoltre, mostra un talento vocale notevole, accanto all’abilità nel maneggiare gi strumenti e, anche, nel saper scrivere della buona musica. Una voce roca, scabra, tosta. Né growling né screaming, ideale per sostenere un mood malinconico ma non tetro. Un mood caratteristico delle terre norvegesi e finlandesi, teso a rivolgere l’attenzione sull’aspetto interiore delle cose. Insomnuim e Omnium Gatherum sono lontani, questo è certo, pur tuttavia l’aura di melanconia che avvolge “Violator” si può percepire con una certa facilità (“Violator”). Donando all’album stesso una spiccata personalità grazie, anche, a un utilizzo delle tastiere abbastanza originale. Introspettivo, appunto.
In generale, però, i Vredehammer sono una macchina da guerra, figurativamente parlando. Brani come “Deadfall”, per esempio, sono delle vere e proprie mazzate sulla schiena. I numerosi break rallentati, poi, contribuiscono fattivamente alla costruzione di quell’umore un po’ mesto di cui s’è fatto più sopra menzione. Mesto e freddo. “Cyclone” ne è l’esempio, ricordando addirittura i (troppo presto) defunti Zyklon per via dei riff a segaossa, secchi e taglienti à la Samoth.
Sino a giungere a “Blodhevn”, stupenda cavalcata sull’onda frangente dei blast-beats, accompagnata da sublimi armonizzazioni sia della chitarra, sia del basso, sia delle tastiere. Una song eccellente che, se ripetuta in emotività e visionarietà più volte lungo “Violator”, lo avrebbe reso un lavoro superlativo.
Così non è, poiché le varie canzoni insinuano nella mente un senso di discontinuità strano, come se fossero state concepite in epoche diverse, e poi messe assieme in un agglomerato non perfettamente organico e coeso.
Il valore a tutto tondo dei Vredehammer è in ogni caso innegabile. La potenzialità tecnico/artistica in mano a Per Vall non ha limiti, a parere di chi scrive. Forse, dovrebbe concentrarsi maggiormente su un solo progetto per rendere al massimo e tirar fiori quel capolavoro che, per quanto poc’anzi affermato, in Nostro ha nelle corde del cuore e dell’anima.
Daniele D’Adamo