Recensione: Violence Reigns Supreme
Nati nel 1998 a Groningen per mano di Dirk Barelds e Ricardo Gelok, i Winter Of Sin hanno sempre bazzicato nel campo del black metal. Sino al 2012, quando la fine dei connazionali God Dehtroned ha regalato loro l’ugola di Henri Sattler, pure chitarrista anche se ora concentrato solo sul microfono. Se al terzetto ci si aggiunge Michiel van der Plicht, membro fondatore della defunta band di Sattler, vien da sé pensare che la sterzata verso il death metal avutasi con “Violence Reigns Supreme” sia stata naturale, fisiologica.
Tenuto conto, pure, che il quarto full-length della carriera dei Nostri è stato registrato e missato agli studi German Soundlodge da Jörg Uken (God Dethroned, Obscenity, Dew-Scented), nonché dipinto da Juanjo Castellano (Paganizer, Denial, Sathanas, Belial, Putrevore, Ribspreader, Bodyfarm). Un bagno nell’ambiente del death estremo che ha dato i suoi frutti, insomma, facendo diventare a tutti gli effetti i Winter Of Sin una delle migliori realtà attuali del genere in terra d’Olanda. Fermo restando che, comunque, l’input compositivo giunge in primis dalle due asce, per cui è lecito accettare il fatto che, bene o male, i richiami al black non manchino mai, da “Astral Death Reign Algorithm” a “Biomechanoid”.
Detto ciò, death o non death, black o non black, non si può non rimanere colpiti al volo dalla grande lezione di mestiere ed esperienza che il quartetto dei Paesi Bassi trasfonde in “Violence Reigns Supreme”. Sin dall’opener la sensazione immediata è quella di avere a che fare con un ensemble dotato di debordante personalità, di assoluta decisione, d’irreprensibile chiarezza d’idee. Lo stile proposto è decisamente classico, quindi lontano da sperimentazioni, contaminazioni ed evoluzioni particolari. In sostanza, non particolarmente originale. Tuttavia, viene scatenato nelle varie tracce con così tanta risolutezza, abilità esecutiva e carattere che il lavoro non perde nulla della sua devastante, annichilente energia. Un’energia davvero sterminata, dettata dall’incessante bombardamento del drumming di van der Plicht, preciso come un metronomo anche quando sfonda, e neppure di poco, la barriera dei blast-beats. È soprattutto in tali frangenti, quando cioè i BPM assumono valori da capogiro, che Barelds & soci non perdono nemmeno un grammo della loro terremotante potenza.
Questa peculiarità, tuttavia, rappresenta la loro croce e delizia, poiché gli insistiti pattern sparati a velocità supersonica da rullanti, piatti e casse, tendono ad appiattire un po’ la composizione. In sostanza, cioè, le canzoni tendono a non presentare né buchi né picchi. Una consistenza media di tutto rispetto, senza però quel qualcosa in più da rendere “Violence Reigns Supreme” memorabile. Non si tratta di un difetto grave, in fondo: la bravura del quartetto è tale e tanta che riesce a far fronte comunque a tutte le avversità e le trappole del songwriting; come per esempio dimostrano le splendide “Black Ashes” e “Infection Of Infinity”, le cui arcane melodie rendono vivido il glaciale mondo di morte così ben raffigurato sulla copertina del CD.
Comunque sia, l’opera rientra senz’altro fra le migliori uscite dell’anno nell’ambito del death classico europeo. Forse qualcosa in più come ‘calore’ potevano darlo, i Winter Of Sin. Ma, del resto, anche il loro nome rimanda al freddo e all’assenza di vita.
Così sia.
Daniele “dani66” D’Adamo
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