Recensione: Violent Creed of Vengeance

Di Stefano Usardi - 19 Aprile 2023 - 9:30
Violent Creed of Vengeance
Band: Smoulder
Etichetta: Cruz del Sur
Genere: Epic  Heavy 
Anno: 2023
Nazione:
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78

Quando si dice il caso: quattro anni fa recensivo, a poca distanza l’uno dall’altro, il debutto dei canadesi Smoulder e l’EP dei loro conterranei Gatekeeper, e rieccomi oggi nella stessa situazione. “Violent Creed of Vengeance”, in uscita fra due giorni, arriva esattamente a un mese dal secondo album dei Gatekeeper e ne ricalca per diversi aspetti l’evoluzione. A livello musicale non ci sono enormi stravolgimenti, “Violent Creed of Vengeance” riprende il discorso più o meno da dove “Times of Obscene Evil and Wild Daring” l’aveva interrotto: proponendo un metallo arcigno e battagliero di stampo eroico, che incede con passo pulsante sotto la guida attenta di Sarah Ann che, col suo fare declamatorio e sfacciato, si scaglia a modo suo contro misoginia e cultura dello stupro. Ciò che invece è cambiato rispetto al debutto riguarda il modo in cui gli Smoulder diffondono il loro messaggio: laddove “Times…” ammantava ogni brano di un’atmosfera sulfurea e oppressiva (anche dovuta a una produzione piuttosto incombente), “Violent Creed of Vengeance” si affida a un bilanciamento sonoro meno ingombrante, pur mantenendo una spiccata carica evocativa e atmosfere che tanto profumano di Sword&Sorcery anni ‘80. Nonostante il quintetto presenti il solito mix tra macigni minacciosi e pezzi più propositivi, si nota infatti l’intento di creare un prodotto più digeribile e immediato, pur restando nei territori dell’epica imperiosa e belligerante: le composizioni si fanno più affilate, scorrevoli, sfrondandosi di tutto ciò che ne potrebbe appesantire eccessivamente la resa complessiva. Questo, se da un lato rende “Violent Creed of Vengeance” un lavoro più asciutto ed assimilabile del suo predecessore, dall’altro perde un po’ di quell’arroganza monolitica ed incompromissoria che tanto mi aveva affascinato nel più indigesto debutto.

Violent Creed of Vengeance” parte subito determinato con la title track, marcia scandita e dal piglio fiero in cui il quintetto mette subito in mostra le novità: chitarre rocciose si mescolano a profumi riconducibili a certi Omen, che si fanno largo nei momenti più languidi che caratterizzano la seconda metà del pezzo. Con “The Talisman and the Blade” si alzano i giri del motore: il pezzo si presenta tirato e sanguigno, con chitarre vorticose inframmezzate da squarci melodici tipicamente heavy power. Nell’ultimo terzo i toni si fanno più burrascosi, guidando l’ascoltatore alla successiva e plumbea “Midnight in the Mirror World”. I ritmi tornano a farsi solenni, poderosi, marziali, caricandosi di un fare rituale e incombente, rievocando il respiro arcigno del debutto e stemperando i toni solo in occasione degli sporadici arpeggi dal fare più narrativo. “Path of Witchery” torna a dispensare fendenti e ritmi galoppanti, ma li colora di toni trionfali velati di una minaccia latente. Il brano continua ad alternare melodie dal retrogusto eroico e il tiro combattivo e sferzante da un lato e improvvise inflessioni più cupe dall’altro, raggiungendo la perfetta quadratura del cerchio grazie all’ottimo bilanciamento di questi elementi. Un’introduzione narrata che omaggia neanche troppo furtivamente gli Hawkwind apre “Victims of Fate”, riguardante – guarda caso – il Campione Eterno di Michael Moorcock: i nostri tornano ad abbassare i ritmi per tessere trame minacciose, avviluppandole a ritmi robusti ma anche abbastanza sciolti. Il carattere eroico del pezzo si fonde con note più sanguinose, disperate, stemperandosi solo di tanto in tanto e mai per più di qualche istante, fino alla chiusura insistita e vagamente ossessionante. Un riff dal piglio classicamente heavy introduce “Spellforger”, pezzo immediato e diretto che col suo fare sfacciato prende le distanze dall’atmosfera dell’album ma non centra l’obiettivo, spezzando a mio avviso la bella tensione costruita fino a questo punto. Poco male, perché con la conclusiva “Dragonslayer’s Doom” i cinque canadesi tornano prontamente in carreggiata. La traccia, infatti, riprende le atmosfere incombenti a me tanto care, distendendosi per i suoi quasi dieci minuti su ritmi contenuti e velandoli di melodie malevole, screziate da sporadici irrobustimenti e un cupo trionfalismo. La sezione centrale profuma di anni ’70, per poi affievolirsi e prendere la rincorsa in vista di una seconda parte nuovamente eroica che trova compimento nel climax finale, giusta conclusione per un album passionale e degno di rispetto.

L’unico difetto che ho riscontrato in “Violent Creed of Vengeance”, che me l’ha fatto apprezzare meno di quanto effettivamente meriti, riguarda il fatto che l’album, nonostante una qualità piuttosto alta, un piglio passionale e la presenza di qualche bella zampata, centri in pieno il suo obiettivo nei pezzi tirati, perdendo un po’ di carisma in quelli in cui la componente più smaccatamente epica avrebbe dovuto brillare di luce propria. Al di là di questo – che altro non è che una mia personalissima impressione – non posso che consigliare “Violent Creed of Vengeance” a tutti gli amanti del metallo più eroico e sanguigno, che anche stavolta troveranno parecchi motivi per cui gioire.

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