Recensione: Virgin Idol

Di Andrea Bacigalupo - 13 Marzo 2022 - 19:33
Virgin Idol
Band: Virgin Idol
Etichetta: Autoprodotto
Genere: Heavy 
Anno: 2022
Nazione:
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60

I Virgin Idol sono un losco trio formato dal bassista cantante JR Preston, appartenente alla scena Black Metal statunitense fin dagli anni ’90 e con alle spalle un bel po’ di progetti come Tjolgtjar, Blood Cult e Xexyz (band particolare che ricrea le colonne sonore dei classici videogiochi Nintendo), dal chitarrista Scott Michaels, Blackster anch’esso con l’album ‘Invokation of the Ancient One’ nel proprio carniere, pubblicato sotto il nome della one man band Forest of Witchery, e dal batterista inglese Chris Reed, turnista in studio e sui palchi cresciuto a pane, Hard Rock, Punk e Metal.

Assieme suonano “tutto ciò che è Metal” (come dicono loro) richiamando a gran voce la straordinaria scena degli anni ’80: ‘Traditional Heavy Metal’, come lo chiamiamo oggi.

Il loro album di debutto, previsto per la primavera 2022, porta semplicemente il loro nome ed è composto da sei tracce più intro, outro ed assolo di chitarra a metà.

Che dire, quando una band di oggi suona TrueMetal si apre tantissimo il fianco. Bisogna avere dei numeri per sopportare certi paragoni, soprattutto se si vanno a scomodare quei nomi ai quali i fan sono più affezionati che ai loro parenti.

Il sound dei Virgin Idol è un ‘arzigogolo’ di riferimenti a band come Judas Priest, Accept, Dokken, Queensrÿche del primo periodo, Malice, i Ruthless di ‘Metal Without Mercy’ … e fin qui ci sta … ma anche Mercyful Fate, con particolare riferimento alla voce di King Diamond.

Qui il paragone tiene pochissimo. Lo stridente falsetto di JR Preston non sarebbe neanche male, ma di sicuro non tiene botta con l’angoscia malvagia che mette il Principe delle Tenebre danese, soprattutto quando passa dall’acuto a quel greve oscuro dai toni paranormali che ti spara fuori un demone dai solchi.

A dirla tutta JR usa pochissimo altri toni e questo, verso il fondo dell’album, fa diventare la sua voce quasi negativamente fastidiosa.

A parte questo, lasciando stare l’intro, la miliardesima narrazione di un demone, e l’outro, che non si riesce a portare in fondo, i primi tre pezzi sono più che ascoltabili e sono carichi di una qual certa potenza: ‘Don’t Touch the Flame’ è un bel classico che porta indietro nel tempo, ‘Satan’s Will’ è pregna di zolfo e ‘Do It Again’ sconfina nel Thrash primordiale con un buon alternarsi di velocità e nero rallentamento che ne amplifica la violenza.

In fase centrale ‘Junji’ è un lungo assolo di chitarra: Scott Michaels sa fare il suo mestiere, ma qui viene a mancare il pathos ed il tutto diventa un po’ freddo.

Nella seconda parte i Virgin Idol cambiano un minimo di registro e diventano più orecchiabili con ‘Demon Night’, meno pesante per abbracciare un più ampio spettro di pubblico. Con ‘Heartshaker’ toppano, semplicemente non mi piace, e con l’elettrica ‘Russian Roulette’ (che non è la cover del pezzone degli Accept) si riprendono.

Concludendo, questo combo è senz’altro interessante, anche se da personaggi così esperti ci potevamo aspettare un qualcosa di più. ‘Traditional Heavy Metal’ non vuol dire semplicemente replicare.

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