Recensione: Virgin Killer

Di Abbadon - 14 Ottobre 2003 - 0:00
Virgin Killer
Band: Scorpions
Etichetta:
Genere:
Anno: 1976
Nazione:
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87

Dopo l’uscita dello straordinario “In Trance”, prodotto piuttosto ignorato ma di qualità davvero sopraffina, la carriera degli Scorpions arriva con “Virgin Killer” al quarto capitolo della sua esistenza. Il disco esce nel 1976 e fa discutere non poco la critica del tempo, per temi affrontati e modo di affrontarli. Per prima cosa desta grande scalpore la crudezza della cover originale, rappresentante, in sintonia col titolo dell’album, una bambina, nemmeno adolescente, nuda e con una crepa (di un vetro che probabilmente sta davanti alla bambina stessa) all’altezza del pube, crepa non certo messa per coprire il pube stesso, quanto piuttosto per evidenziare ancora più l’efferatezza dell’assassino di vergini. La copertina viene naturalmente censurata in diversi paesi, e sostituita con un artwork che vede i 5 artisti in posa uno da parte all’altro. Uscito come detto nel 1976, “Virgin Killer” ha un buon successo di vendite all’esterno della patria di Schenker e compagni, sicuramente più elevato rispetto a quelle dei primi 3 dischi, e va forte nella Germania stessa, dove gli Scorpions erano già un culto e probabilmente anche i più grandi rappresentanti rock del paese. Il successo, comunque, non dipende sicuramente dalla tanto controversa cover, che comunque può essere un motivo di attrazione, ma è del tutto meritato. Stiamo infatti parlando di un disco che, anche se secondo me è un gradino sotto “In Trance”, è di una qualità media di notevolissimo spessore. Probabilmente è anche il disco più ricco di sfumature della storia degli scorpioni, viste le clamorose differenze che si presentano fra una canzone e l’altra. Abbiamo cavalcate in puro hard rock (“Pictured Life” “Backstage Queen” e “Polar Nights”), sfuriate delle quali Hendrix sarebbe stato fiero (“Virgin Killer”, “Hell Cat”), brani dove la vivacità sprizza da tutti i pori (“Catch your Train”), altri dove il sentimento la fa da padrone (“In your Park”) per finire con pezzi dove dominano il gotico e l’introspettività (“Crying Days”, “Yellow Raven”). Dal punto di vista esecutivo risulta subito evidente la maturità della band, che seppur giovane poteva contare su elementi di valore assoluto nel proprio campo (sia compositivo che esecutivo) quali Klaus Meine alla voce (anche se lo preferisco in altri album) e Ulrich Roth alla chitarra elettrica (spaventoso, nulla in più da dire), più altri musicisti che sicuramente sapevano dire la loro come Rudolf Shenker (ottimo in sede esecutiva e clamoroso compositore, specie in coppia con Klaus), Francis Buchholz e Rudy Lenners (all’ultimo album prima dell’arrivo dello storico Rarebell). Detto a grandi linee cosa aspettarsi dal disco e dalle sue 9 tracks, inoltriamoci nella jungla selvaggia di “Virgin Killer”.

Subito veniamo accolti dalla classicissima e pirotecnica “Pictured Life”, vero e proprio classico della prima epoca degli Scorpions. Il mid tempo è ottimamente scandito dalla batteria, così come dalla chitarra di Schenker, mentre Roth abbellisce il tutto con assoli e delle sequenze di scale da brividi. Buono Meine alla voce, soprattutto quando guida le backing vocals nel ritornello, per un mix fonico eccellente. La canzone prende non poco, ed è come già detto una vera e propria cavalcata degli Scorpions, una delle più amate degli esordi (basta sentirla live su “Tokyo Tapes per capire cosa intendo). Finita Pictured iniziamo a correre con la velocissima “Catch your Train”. La track ha un riff molto azzeccato, sul quale ancora il buon Uli svaria in maniera eccezionale, e sprizza davvero energia da tutti i pori. Il ritornello è forse il tratto più coinvolgente dell’intero disco. Buono anche il basso, che in precedenza aveva fatto una figura di secondo se non terzo piano. Terza traccia e terza tipologia di song. Qui sconfiniamo nel melenso con la ballad “In your Park”, lenta e dal testo meraviglioso. Anche la musica è splendida,anche se a mio avviso meno delle ballate che avrebbero reso celebre il gruppo da lì a breve, forse per una eccessiva ridondanza. Comunque livello 5 stelle, poco da dire. Ritorno a cose più pesanti con la buonissima “Backstage Queen”, canzone tutto sommato abbastanza ripetitiva, ma eseguita talmente bene da rendere molto, molto difficile l’annoiarsi. Le strofe non sono eccezionali, al contrario del ritornello, davvero fatto a regola d’arte. Palma del miglior musicista qui va al buon Schenker, vero e proprio padrone delle redini del ritmo, tanto da mettere in secondo piano Roth, che peraltro si rifarà subito nella canzone dopo. La title track è infatti completamente (musica e testi) opera del chitarrista, ed il risultato, estremamente graffiante, duro e diretto (e perfettamente ricollegabile all’artwork), è cosa da far sbavare i più fantasiosi interpreti della 6 corde. Un vero e proprio manuale di tecnica. Da segnalare anche l’assolo da brividi. Anche “Hell Cat” è completamente partorita dall’immaginazione di Uli, ma è totalmente diversa dalla precedente opera. Più tranquilla e posata di “Virgin Killer”, Hell Cat ricorda abbastanza lo stile delle canzoni di Jimi Hendrix (per esempio “Dolly Dagger” è molto simile per impostazione e per metrica) , e potrebbe lasciare straniati la maggior parte degli ascoltatori. La qualità della canzone è comunque molto buona, così come è eccellente anche la goticissima “Crying Days”, che va ascoltata davvero a lungo per essere capita. Tremendamente melanconica, Crying Days è la quintessenza della tristezza messa in musica, ed è allo stesso tempo una perla dal punto di vista dell’esecuzione. Curiosità : I Therion, nel tributo agli Scorpions, hanno eseguito Crying Days, poi però sul tributo stesso vi è scritto che la band ha eseguito Polar Nights. Misteri della fede. Ed è proprio “Polar Nights” a seguire Crying nella tracklist di Virgin Killer, dandoci forse la track complessivamente migliore del disco per ispirazione e tecnica. Roth è come sempre disarmante a creare musica con la sua lead guitar, basso e batteria si fanno sentire, Rudy dà del suo accompagnando con la ritmica il suo collega chitarrista. Polar Nights è tra l’altro particolare perché unica song dove Meine non ha alcun ruolo, in quanto dietro al microfono c’è Ulrich.
La chiusura di questo eccellente album è affidata a “Yellow Raven”, un mix tra la pazzia, il romanticismo di “In Your Park” e introspezione di “Crying Days”. Il risultato è di notevole fattura, ed esaurisce un disco che sicuramente non può mancare nella discografia di un Rocker che si rispetti. Consiglio a tutti di darci un ascolto perché in questo classico ce n’è davvero per tutti i gusti.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Pictured Life
2) Catch your Train
3) In your Park
4) Backstage Queen
5) Virgin Killer
6) Hell Cat
7) Crying Days
8) Polar Nights
9) Yellow Raven

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