Recensione: Virgo
Si è chiuso da un paio di settimane Sanremo, la kermesse della musica popolare italiana, l’annuale spolverata di muffa sulla patina perniciosa della mediocrità italica. Bene, un’occasione, per noi efferati amanti delle buone sonorità, di guardarci attorno e cercare nel pozzo dell’underground qualche dignitosa band nostrana, che magari si cimenta con testi in madrelingua. I Virgo possono rispondere all’appello con questo secondo album omonimo, un interessante crocevia tra sonorità stoner e un certo rock italiano colto (mi torna alla mente il Banco Del Mutuo Soccorso, per i testi e la voce di Daniele Perrino).
Il nuovo album dei Virgo si colloca nel punto d’incontro tra i sensi umani più nascosti e quelli più superficiali all’interno di una società sempre più virtuale.
Si avverte una certa inquietudine nei solchi di titoli come il singolo Danza Di Corteggiamento o Vergine Livrea, e l’andatura dell’intero lavoro procede tra momenti intimi ed esplosioni di rabbia, esprimendo sentimenti attuali attraverso liriche ricercate e mai banali.
Nel Fondo Della Segreta Ossessione e Bianca Ombra sono esempi di come si possa abbinare testi d’impegno a un tessuto sonoro che prende carburante dallo stoner per sfociare nell’alternative rock, e lo si può fare in Italia, che nel rock (progressive e non solo) ha una sua traduzione troppo spesso dimenticata e seppellita da monoliti antichi e banali, che ripetono sé stessi ossessivamente.
I Virgo non provengono da qualche non-talent televisivo, né godono dei riflettori nazional popolani, ma cercano di scavare la propria difficile strada nell’ombra, e se luce sarà, lo dovranno alle proprie qualità che già al secondo disco sono ben delineate.