Recensione: Viridian
Dalle più remote ed astratte frontiere di “Of Jupiter and Moons” (2018), i Temperance ritornano sul mercato discografico in questo inizio 2020 con il nuovo “Viridian”, full-length di che ci riporta sul nostro bel pianeta, con il verde e l’azzurro che stanno a simboleggiare proprio la bellezza infinita di madre natura, tra foresta e mare, tra cielo e terra, come ci ha raccontato il cantante Michele Guaitoli nella nostra recente intervista. Già dalla cover sci-fi meravigliosamente illustrata da Yan Souetre (Ayreon) il disco si presenta in completa continuità con il predecessore, con le tre voci armonizzate di Marco Pastorino (voce e chitarra), Michele Guaitoli ed Alessia Scolletti a rappresentare il vero e proprio marchio di fabbrica e la peculiarità di questa giovane e promettente formazione nostrana. Nessun cambio in lineup, con Luca Negro al basso ed Alfonso Mocerino alla batteria. Level up invece per quanto riguarda l’etichetta: da Scarlet Records all’austriaca Napalm Records, ennesimo segnale della crescita qualitativa dei Temperance, a breve in tour con Tarja (Nightwish) in qualità di special guest.
Musicalmente siamo di fronte ad un altro bel lavoro di metal melodico, moderno e dinamico, con le tre voci perfettamente bilanciate, composto a più mani dalla (e sulla) lineup attuale. Non mancano i richiami ai Temperance della prima era, quelli con Chiara Tricarico alla voce, in brani come il singolo “My Demons can’t Sleep” e la opener “Mission Impossible” che trae ispirazione dal secondo film della celere serie iconica con Tom Cruise e diretto da John Woo e che ricorda anche per tematiche e per sonorità elettroniche il classico “Mr. White”. Entusiasmanti i brani più epicheggianti, come la folkloristica “Nanook” che trascina col suo ritornello power ed è impreziosita da una sezione con voci bianche, “The Cult Of Mystery”, ancora su panorami prettamente sinfonici e con un’ospite d’eccezione come la soprano Laura Macrì (MaYan) o la titletrack “Viridian”, ispirata dall’utopia di una città ideale color smeraldo. Molto significativa anche “Start Another Round”, a parere dello scrivente la migliore del platter, che dal metal vira verso un rock più radiofonico ed ottantiano, con un’interpretazione magistrale delle tre voci in un brano che incita a voltare pagina, a guardare oltre i fallimenti e gli errori che fanno inevitabilmente parte della vita.
Buoni anche i brani più leggeri, come “Let it Beat”, l’avantasiana “Gaia”, che porta le sue scuse verso madre terra per i crimini perpetrati dall’uomo e la ballad “Scent Of Dye” scritta da Marco Pastorino.
Chiusura del tutto inaspettata con il gospel di “Catch the Dream” che non mancherà di coinvolgere il pubblico in sede live.
Con “Viridian” la proposta musicale dei Temperance acquisisce ulteriore solidità, forti di una produzione impeccabile e della sensazione, palpabile anche all’ascolto, di una giovane band composta da professionisti che provano un immenso piacere nel giocare con le note, nello sperimentare armonie vocali e soluzioni creative tra tradizione e modernità, animati dalla grande passione per quella musica che per noi è vita e superamento continuo dei nostri limiti, e che assume stavolta il colore di un verde bluastro. Questo è Viridian.
Luca “Montsteen” Montini